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Assegno unico, luci e qualche ombra

L’approvazione in via definitiva da parte del Senato della legge delega in materia di assegno unico universale è una buona notizia, ma solo a metà. Certamente felice è l’intenzione di introdurre misure a sostegno della natalità in un Paese, come l’Italia, in cui la crisi demografica sta assumendo contorni drammatici. Certamente felice è l’intenzione di razionalizzare la pletora di mini-assegni e mini-provvidenze pubbliche stratificati nel tempo in materia, dove si era creato un vero e proprio caos normativo che si traduceva in una sostanziale inefficienza pratica delle misure stesse. Meno felice è la configurazione tecnica dello strumento tracciata dal Parlamento, che dovrà essere in tempi brevi attuato dal Governo con appositi decreti legislativi.

Non si pensi che l’aspetto tecnico sia qualcosa di riservato agli addetti ai lavori: esso, infatti, è la chiave di volta da cui dipende la riuscita o meno degli effetti della misura. Una buona intenzione realizzata male sul piano tecnico rischia di risultare inefficace. Sotto questo profilo, svariati sono i rilievi che devono essere mossi alla legge delega sull’assegno unico universale. Si tratta di rilievi già a suo tempo messi in evidenza dai giuristi che si sono occupati del tema, a cominciare dai professori Angelo Contrino e Filippo Vari, oltre a chi scrive, nel corso di audizioni svolte in Parlamento, ma dei quali quest’ultimo ha ritenuto di non tener conto. I due principali problemi sono i seguenti.

In primo luogo, la misura è “parziale”. Il sostegno alla natalità non passa esclusivamente dalle provvidenze economiche, specie se di importo relativamente ridotto, come si presume sarà quella prospettata: neppure l’importo di 250 euro, di cui si parla, è a ben vedere garantito dalla legge (si tratta infatti di una semplice stima di un importo che dovrà stabilire il Governo nei decreti delegati), e in ogni caso non è chiaro se esso sia l’importo massimo o quello minimo dell’assegno, in relazione al parametro dell’I.S.E.E. di cui si sta per dire. In conseguenza di ciò, alcuni nuclei familiari potrebbero trovarsi anche penalizzati per effetto della nuova misura. Essa, pertanto, deve essere contornata da una serie coordinata di politiche in molteplici ambiti (specialmente, quello lavorativo), dei quali nella legge delega non vi è traccia. Si è quindi di fronte a un primo passo, cui dovranno seguirne altri non meno importanti.

In secondo luogo, l’assegno unico universale sconta il vizio di fondo di essere parametrato all’I.S.E.E. (art. 1 co. 2 lett. b): esso è un indicatore che calcola la situazione economica del nucleo familiare provvedendo, in sintesi, a sommare le ricchezze di tutti i componenti della famiglia ma dividendo la sommatoria per un numero che non è pari al numero di persone di cui la famiglia si compone, come sarebbe logico, ma è inferiore a esso. Ciò avviene per effetto dell’introduzione di una “scala di equivalenza”, basata su assunti economici opinabili, in forza della quale i membri della famiglia successivi al primo vengono considerati come unità quando si tratta di sommare le loro ricchezze, ma meno dell’unità, con valore decrescente per ogni membro, quando si tratta di calcolare la “ricchezza pro capite” della persona, ossia il tenore di vita dei membri della famiglia. Tecnicamente, al divisore del rapporto in cui consiste l’I.S.E.E. i membri della famiglia sono computati come se “valessero” meno di un’unità e in particolare con un valore sempre più basso col crescere del numero dei membri della famiglia stessa.

Questo meccanismo di calcolo penalizza le famiglie numerose rispetto all’ipotesi in cui a ciascun componente della famiglia venga assegnato, come logico, un valore pari all’unità, o comunque un valore determinato in base a una scala di equivalenza meno sfavorevole di quella attuale. L’I.S.E.E. è inidonea a rispondere soprattutto ai bisogni delle famiglie numerose: fondare un meccanismo a sostegno della natalità sul sistema I.S.E.E. equivale – per utilizzare un’immagine popolare – a cercare di togliersi la sete col prosciutto. A poco vale, in questa prospettiva, il tentativo di riequilibrio che introduce l’art. 2 co. 1 lett. a, che prevede una maggiorazione dell’assegno per i figli successivi al secondo: la stessa costruzione della misura è affetta da un vizio di fondo, poiché la legge delega manca di delegare il Governo a provvedere, contestualmente, alla riforma dell’I.S.E.E per renderlo meno penalizzante per le famiglie numerose.

Urgente risulta, in questa prospettiva, l’approvazione di una legge delega per la riforma dell’I.S.E.E., con abolizione della scala di equivalenza su cui esso si basa, o comunque con una radicale revisione della stessa per rendere più seria la politica di sostegno alla natalità.

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