Giovanni XXIII, con il Concilio ecumenico e la Pacem in Terris, si propose come una voce profetica in un periodo di guerra fredda, mentre a livello pastorale ed ecclesiologico la Chiesa divenne fattore di comunione nella diversità e popolo di Dio in cui i diversi carismi e ministeri concorrono all’edificazione corresponsabile del regno di Dio. A sua volta papa Francesco, con il continuo richiamo a una fede autentica e da incarnare, capace di toccare il vissuto degli “scartati” della terra e dell’economia,
si mette in coraggiosa controtendenza rispetto a quella che lui stesso denomina “la terza guerra mondiale a pezzi”.
Ricevendo in udienza i partecipanti al pellegrinaggio di giovani dal Belgio, papa Bergoglio ha rinnovato l’appello contro lo “spirito di Caino”, mettendo in guardia dal conflitto quale volontà di distruzione dell’altro. “Il mondo è in pericolo, siate artigiani di pace – ha raccomandato il Pontefice alle nuove generazioni-. La Chiesa ha bisogno della vostra generosità, gioia e determinazione nel costruire un mondo di fraternità. Stiamo attraversando momenti difficili per l’umanità, siate ambasciatori di pace, riscoprendo la bellezza dell’amore, del vivere insieme, della solidarietà”. Purtroppo, invece, affiora un’inquietante indifferenza nel mondo giovanile rispetto alle emergenze attuali. In settori della società solitamente solleciti a scendere in piazza per una pluralità di motivazioni, stavolta sembra prevalere il silenzio.
I ragazzi della protesta “green” di Greta Thunberg, gli universitari, le associazioni pacifiste e i multiformi movimenti di impegno sociale sembrano imbalsamati oppure scoraggiati. Sarebbe poi ancor più grave pensarli demotivati in una fase storica così determinante per le sorti del genere umano. Quale motivazione più forte dovrebbe avere un giovane, così come un genitore e anche un nonno, rispetto all’urgenza di impedire una distruzione planetaria e la sciagura di uno scontro nucleare senza precedenti? Possibile che non ci renda conto di quale mortale rischio di implosione corra il pianeta tra l’escalation bellica di Putin, i missili nordcoreani, la tirannia dei talebani e la spietata repressione dei diritti umani in Iran? Mai quanto adesso è auspicabile e necessario un sussulto anche da parte del mondo cattolico. Nell’anelito di unirsi all’intera cristianità e a tutte le altre realtà religiose per essere compiutamente una “Chiesa in uscita”, capace di coinvolgere l’Europa e il mondo.
Con la richiesta ai potenti del globo di porre come priorità assoluta la soluzione di conflitti, non lasciando che si espandano e deflagrino. La Chiesa “ospedale da campo” non parla di sé, ma di Cristo per andare incontro all’uomo, ai suoi drammi, ai dolori e ai suoi bisogni di pace e di misericordia. Perciò l’artigiano di pace assume un ruolo fondamentale proprio se, in una situazione critica, fa sentire la sua voce, testimoniando la propria presenza, mobilitandosi e scendendo nelle piazze per supplicare il “cessate il fuoco”. Francesco indica la costruzione della pace innanzi tutto come cammino di unione fra tutti i discepoli di Gesù.
L’artigiano di pace è promotore di ecumenismo e concordia. Francesco offre continui suggerimenti per un ecumenismo praticabile, ricordando che “l’unità è possibile se per primi, noi superiamo i conflitti e la spirito di superiorità”. Misericordia e perdono sono il presupposto per la fine di ogni conflitto. Non c’è pace senza perdono. Quale miglior esempio di pace possono dare al mondo i cristiani se non quelli di accordarsi vicendevolmente il perdono per le divisioni provocate nel Corpo di Cristo? Solo se i cuori si pacificano le armi potranno tacere. L’unica alternativa all’autodistruzione dell’umanità è incamminarsi in un sentiero di convivenza, sviluppo umano integrale e reciproca comprensione.