Ogni persona ha in sé una parte artistica. Sei decenni dopo la storica iniziativa del suo predecessore Paolo VI, Papa Francesco replica l’incontro alla Cappella Sistina con coloro che definisce i suoi “alleati”. A 200 artisti provenienti da oltre 30 Paesi il Pontefice ribadisce che “l’arte non può mai essere un anestetico; dà pace, ma non addormenta le coscienze, le tiene sveglie”. E aggiunge: “Spesso voi artisti provate a sondare anche gli inferi della condizione umana, gli abissi, le parti oscure. Non siamo solo luce, e voi ce lo ricordate; ma c’è bisogno di gettare la luce della speranza nelle tenebre dell’umano, dell’individualismo e dell’indifferenza”. Quindi “aiutateci a intravedere la luce, la bellezza che salva”. Parole limpide e profonde.
Il messaggio di Francesco è perentorio e fuga immediatamente il campo da equivoci. Non si illudano i nemici della condivisione, della bellezza e dell’arte di poter opporre resistenza allo Spirito Santo, perché è lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio. Una prospettiva teologica e filosofica che si sostanzia nell’abbandono a Dio. La cultura contemporanea comporta un irreversibile movimento di rinnovamento. Perciò, adesso, bisogna andare avanti. Ma in che modo? Verso quali traguardi? Dedicarsi all’arte significa vivere su una frontiera, quella in cui si incontra le necessità della gente a cui va testimoniata in maniera comprensibile e significativa la “bellezza che salva il mondo”, secondo la celebre definizione dello scrittore russo Fedor Dostoevskij. Alla larga, dunque, da una cultura autoreferenziale che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro. Si impara per vivere: l’arte elaborata nelle accademie deve essere radicata e fondata sulla vita reale. La Chiesa è, “maestra in umanità”, e accompagna i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili.
Oggi, infatti, l’arte deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo nella quotidianità domestica, ma anche quelli che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade del terzo millennio globalizzato. Francesco esorta a non accontentarsi di una creazione artistica da tavolino. Il luogo di riflessione degli artisti siano le frontiere. Un monito paterno e sollecito a non cadere nella tentazione di verniciare le periferie geografiche ed esistenziali, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle. Infatti anche i buoni artisti, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con il loro talento, versano olio e vino sulle ferite degli uomini. L’alleanza tra il Papa e gli artisti è espressione di una Chiesa che è ospedale da campo, che vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. L’attenzione alla componente artistica della vita individuale e collettiva non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa della Chiesa in uscita, incamminata sui sentieri della contemporaneità. Francesco parla agli artisti del mondo intero e sollecita a scoprire come nelle varie discipline e forme di espressione possa riflettersi la centralità della misericordia. “Non dimenticatevi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi- esorta il Papa-. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno”.
Lo aveva già detto rivolgendosi ai docenti delle facoltà teologiche in un compendio della sua missione di vescovo di Roma. Senza la misericordia la teologia, il diritto, la pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che di natura sua vuole addomesticare il mistero. Per questo comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore. Come l’artista è tale per chi trae beneficio interiore dalla sua creazione, così c’è bisogno di annunciatori del bello anche nel sacro e non di eruditi da museo che accumulano dati e informazioni sulla Rivelazione senza però sapere davvero che cosa farsene. Né tantomeno serve qualcuno che resta al balcone della storia. Francesco raccomanda che il teologo formato nelle facoltà sia una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana, e non un intellettuale senza talento, un eticista senza bontà o un burocrate del sacro. “Mi sta a cuore l’umanità dell’umanità – ha affermato ieri il Pontefice nell’incontro alla Cappella Sistina -. Perché è anche la grande passione di Dio. Una delle cose che avvicinano l’arte alla fede è il fatto di disturbare un po’. L‘arte e la fede non possono lasciare le cose così come stanno: le cambiano, le trasformano, le convertono”.