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Dalle armi non sboccerà la pace

“Pace!”. Una voce grida evangelicamente nel deserto delle contrapposte propagande belliciste. I continui appelli di papa Francesco a deporre le armi traggono forza dalla millenaria vocazione pacificatrice del cristianesimo. Nei secoli il nome di Dio è stato strumentalizzato per legittimare con falsi pretesti di fede sanguinosi conflitti di potere. Ma lo Spirito Santo non ha mai fatto mancare, in nessuna epoca, figure profetiche che hanno ispirato l’Ecclesia, togliendo così alla barbarie della violenza qualunque giustificazione.

Giusta è la pace, mai la guerra. Eppure i governanti restano cinicamente impermeabili alle invocazioni di pace del Pontefice, simulando ipocritamente di riconoscerne l’alto magistero per poi vendere armi che uccidono popolazioni inermi. Le loro mani grondano il sangue innocente di bambini, donne e anziani, mentre migliaia di giovani sono costretti a impugnare strumenti di morte sempre più micidiali e crudeli. Il frutto avvelenato della diabolica pianta dell’odio sono le fosse nelle quali vengono gettati ogni giorno come sacchi della spezzatura i corpi di coloro che perdono la vita per colpa dello “spirito di Caino” evocato da Jorge Mario Bergoglio.

Povera Italia, terra fecondata dal supplizio dei martiri d’inizio cristianità, ma che ancora una volta non riesce a prendere le distanze dai seminatori d’odio, a differenziarsi dalle altre nazioni facendosi promotrice di mediazioni, mettendosi in prima linea a difesa della pace, insegnando agli altri popoli a ritrovare quelle profonde radici di spiritualità, umanità e condivisione che in passato hanno scongiurato catastrofi. Papi e santi mediatori sono stati capaci di fermare gli sterminatori in ogni tempo e in ogni luogo. Ora più che mai abbiamo bisogno di simili uomini di Dio. Servono autentici artigiani di pace e non complottisti, apocalittici, approfittatori delle paure degli altri. Si alza dallo sconcerto, dalla sofferenza, dal logorante senso di insicurezza un appello spontaneo al governo italiano che così frequentemente fa riferimento al pontificato di papa Francesco. L’Italia abbia la forza di cambiare se stessa e di dissuadere anche gli alleati dal continuare ad armare chi si combatte all’ultimo sangue.

L’Ucraina non la si aiuta colmandola di armi bensì mettendosi realmente dalla sua parte, frapponendosi fra i due nemici. E tanto più scandaloso e doloroso è vedere due Stati cristiani scontrarsi senza esclusione di colpi. Nella Pasqua ortodossa hanno inondato l’immaginario globale le immagini di figure politiche e militari intente a partecipare a cerimonie religiose tra segni della croce ed espressioni di devozione. Ma non è l’uomo per il sabato, bensì il sabato per l’uomo, dice il Vangelo. L’autentico ecumenismo è conciliazione. La pace è la manifestazione del Dna della Chiesa che “vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva” (Evangelii Gaudium 24). Questo desiderio deve spingerci con tutte le nostre forze ad andare incontro al fratello anche quando una divisa o un confine ci separa da lui.

Proprio l’esercizio della pacificazione diventa il criterio di verità della fedeltà al Vangelo: nella comunità primitiva come nella cristianità di oggi. Il Pontefice è etimologicamente costruttore di ponti e non di muri. Francesco è stato i il primo papa della storia ad incontrare il patriarca di Mosca. Sotto le bombe e nell’incubo dell’olocausto nucleare, i cristiani di ogni confessione non possono smettere di incamminarsi in tutti i possibili percorsi di unità, nelle mediazioni tra le ragioni, tra le sofferenze inflitte e subite degli uni e degli altri. Per sperare quando tutto induce a disperare. Facendo affiorare ciò che unisce a scapito di ciò che divide.

Il dialogo tra Roma e Mosca aiuta entrambe a dialogare con il mondo. E a fare insieme qualcosa di buono per la pace mondiale. A Gerusalemme Paolo VI e Atenagora nel ’64 si abbracciarono cancellando le reciproche scomuniche. Ripartiamo da questo solidissimo fondamento comune, da una comunione, anche se imperfetta, fondata sul Battesimo e sul patrimonio di fede, che permette di riconoscersi fratelli. Una fraternità destinata a crescere fino alla pienezza. Conoscersi, ascoltarsi, confrontarsi porta a rispettarsi, ad apprezzare le cose belle comuni, che sono molte e grandi, a ridimensionare i contrasti, a collaborare per la pace. A riconoscersi e a trattarsi da fratelli nella carità. Dove c’è l’amore c’è Dio. E dove c’è Dio, è attivo il principio interiore che muove lo spirito a riconoscersi fratelli nello Spirito e ad operare secondo il progetto divino che depreca la furia fratricida. Questa opera è dello Spirito. Gli uomini sono chiamati ad operare attraverso l’amore. La vera pace non si ottiene armando la mano dei contendenti. E la guerra è la negazione della civiltà.

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don Aldo Buonaiuto
don Aldo Buonaiuto
Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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