Dunque il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza 2023, il primo dell’esecutivo Meloni. Tecnicamente è un fatto rilevante, politicamente rappresenta la conferma di quanto previsto in questi giorni da analisti e addetti ai lavori. Quindi significa che il percorso intrapreso sta procedendo nella direzione auspicata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E il tesoretto per il taglio delle tasse è lì a dimostrarlo.
Partiamo dal Def, ossatura di quella che sarà la politica economica del Governo nel breve e medio termine, pur non essendo l’unico dossier approdato sul tavolo del Cdm. “A fronte di una stima di deficit tendenziale per l’anno in corso pari al 4,35% del Pil – si legge nella nota del Mef -, il mantenimento dell’obiettivo di deficit esistente (4,5%) permetterà di introdurre, con un provvedimento di prossima attuazione, un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi a valere sull’anno in corso. Ciò sosterrà il potere d’acquisto delle famiglie” e allo stesso tempo, spiega il ministero, “contribuirà alla moderazione della crescita salariale” contro “una pericolosa spirale salari-prezzi”.
Senza troppi scossoni, poi, è arrivato il semaforo verde dell’esecutivo al disegno di legge sulle nuove sanzioni “in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”. E via libera anche al disegno di legge capitali, che prevede una semplificazione delle norme per accedere alle quotazioni in borsa e alcune novità per le autorità di regolamentazione, per gli intermediari e l’educazione finanziaria. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mercoledì 12 aprile è atteso a Washington per gli spring meeting del Fondo monetario internazionale. Una sorta di “esame” per il ministro che ha appena messo nero su bianco le stime del governo per la crescita del Paese, improntate, assicurano dal Mef, con prudenza nelle previsioni e serietà nell’approccio ai conti pubblici. Su proposta del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, il governo ha poi deliberato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale a seguito dell’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Lo stato di emergenza, sostenuto da un primo finanziamento di cinque milioni di euro, avrà la durata di sei mesi.
Dunque i segnali positivi ci sono, resta da capire quanto si possa essere davvero ottimisti. Senza voler alimentare la grancassa di chi rema contro, oggettivamente sta attraversando una strana fase, dove le fibrillazioni interne non corrispondo alle proiezioni esterne. In pratica l’Italia cresce nei contesti internazionali, ma sconta le divergenze intere alla maggioranza che sostiene il governo. E’ il gioco della politica di casa nostra, si dirà, ed in parte è pure vero. Ma è anche la miopia di chi non sa guardare oltre la siepe del proprio orticello. La vicenda delle nomine è il paradigma di tutto questo. Trattandosi di un gioco di potere di altissimo livello, dal quale dipendono rendite di posizione politiche e remunerazioni elettorali, nessuno ne vuole star fuori.
Ma è proprio questo assalto alla diligenza, nel giorno del Consiglio dei ministri vocato a ridare fiato alle tasche degli italiani, a rendere tutto un po’ complesso, se non addirittura complicato. Conta di più la manovra o le manovre di Palazzo? Sia chiaro, la partita è delicata, essendoci di mezzo aziende strategiche, soprattutto Eni e Leonardo, ed è vietato sbagliare. Anche per questo Giorgia Meloni ha insistito per avere l’ultima parola nella scelta degli amministratori delegati delle big 5, le partecipate pubbliche di maggior rilievo con i vertici in scadenza nelle prossime settimane. Ma dovrà, poi, spiegare bene agli italiani tutto questo. Altrimenti rischia di perdere una partita fondamentale, che non può essere certo quella dell’immigrazione, bensì quella del rapporto di fiducia con gli elettori.