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Anno Mariano, la profezia di Karol Wojtyla

Quarant’anni fa in seguito a un nuovo aumento dei prezzi, alcuni reparti delle officine Ursus a Varsavia sospesero il lavoro. Da lì, gli scioperi si allargarono a macchia d’olio. E attraversarono l’intero Paese. Ce ne fu uno anche nei cantieri Lenin di Danzica, per il siluramento “politico” di Anna Walentynowicz. Una gruista, vent’anni di anzianità e militante del movimento operaio di ispirazione cattolica. A organizzare la protesta fu Lech Wałęsa, un elettricista. Era uno dei membri più attivi del sindacato clandestino. E sul Baltico, la contestazione non solo mise radici. Assunse un carattere permanente. E si colorò di un aspetto inedito. Straordinariamente inedito. Sui cancelli dei cantieri apparvero un quadro della Madonna Nera. E un ritratto di Karol Wojtyla. Gli operai, in ginocchio sul selciato, si confessavano e prendevano la comunione. Quelle immagini fecero il giro del mondo. Impressionarono tutti. “Forse è arrivato il momento!”, esclamò Giovanni Paolo II. E, naturalmente, quelle immagini vennero viste anche al Cremlino. Spaventarono i gerarchi comunisti. Timorosi che il “bubbone” polacco potesse espandersi. E contagiare le altre regioni dell’impero. AsiaFlash di memoria ecclesiale condivisa. E’ trascorso un terzo di secolo da quando San Giovanni Paolo II lanciò la profezia dell’Anno Mariano. Un’iniziativa pastorale per preparare fin dal 1987 la Chiesa al grande Giubileo che si sarebbe celebrato nel Duemila. E che avrebbe aperto le porte al terzo millennio della cristianità. L’ anno dedicato alla Madonna ebbe inizio il 7 giugno del 1987, festa di Pentecoste. E si concluse il 15 agosto 1988, solennità dell’Assunta. Il 1987 fu un punto di svolta nel pontificato. Il 1° aprile 1987, Giovanni Paolo II arrivò all’aeroporto internazionale di Santiago del Cile. Alla cerimonia di benvenuto il dittatore Augusto Pinochet con i suoi generali. Wojtyla parlò della “inalienabile dignità della persona umana“. E poche ore dopo, ai piedi di un grande monumento mariano, rincarò la dose. Disse di benedire specialmente le “popolazioni emarginate“. E “coloro che hanno subìto le conseguenze della violenza“. Dove si scrive la storia non manca mai Maria. Nei giorni della convalescenza dopo l’agguato di Ali Agca, in ospedale, Karol Wojtyla aveva più volte riflettuto su una singolare coincidenza. Quella fra il 13 maggio dell’attentato e il 13 maggio del 1917. Era la data della prima apparizione della Vergine a Fatima. Intuì che era stata la Madonna a salvarlo. E ne concluse: “Una mano ha sparato. E un’altra mano ha guidato la pallottola“. Per questo, volle che quella pallottola fosse incastonata nella corona della statua della Vergine a Fatima.Anno MarianoÈ anche nelle visite alle parrocchie romane che trovò espressione la sua vocazione mariana. Come l’offerta della corona alla Madonna Immacolata di Piazza di Spagna e la devozione verso la Madonna. Con il rosario donato alla basilica di Santa Maria Maggiore. Sempre “tutto tuo”, come recita il motto di consacrazione personale a Maria. Ovunque accanto a chi ha bisogno. E’ stato da poco commemorato il 40° anniversario del terremoto dell’Irpinia. Una tragedia epocale che causò oltre 2.500 morti e stravolse il volto di una terra. Karol Wojtyla volle andare in quei luoghi di sofferenza, a 48 ore di distanza dal devastante sisma. Quando ancora molte strade per arrivare nel cuore del sisma erano impraticabili per macerie. E con un fuoriprogramma da Balvano giunse ad Avellino all’ospedale Moscati in viale Italia. “Ho cercato i malati, i feriti nell’ospedale ma l’ospedale era crollato-. Coraggio e speranza. Pregheremo insieme“. Eccola la Chiesa di San Giovanni Paolo II, proiettata verso i propri figli sofferenti come Maria ai piedi della croce. Il pontificato mariano di Karol Wojtyla ebbe nel Concilio Vaticano II una sua provvidenziale anticipazione. Una scuola di formazione alla missione sul Soglio di Pietro.Anno MarianoPer il futuro Giovanni Paolo II il Concilio ha posto le premesse del nuovo cammino della Chiesa nella società contemporanea. Pur essendo la stessa di ieri, la Chiesa vive e realizza in Cristo il suo “oggi”, che ha preso il via soprattutto dal Vaticano II. Il Concilio
ha preparato la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo. Anche Joseph Ratzinger, dal 1962 al 1965, ha garantito un rilevante apporto al Concilio Vaticano II come “esperto” e ha assistito come consultore teologico il cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. In realtà il lascito conciliare di Wojtyla e Ratzinger si riscontra in una pluralità di aspetti del pontificato di Francesco. L’anelito sinceramente ecumenico che lo spinge a considerare il primato petrino in termini di servizio alla cristianità e non di dominio. L’impostazione autenticamente universale della sua missione pastorale. Il debito di riconoscenza che nell’ultimo mezzo secolo accomuna tutti i pontefici per la straordinaria intuizione di Giovanni XXIII. Un lascito da personalizzare. I pontefici rappresentano tutti una parte di una storia organica e continua. Le accentuazioni proprie di ciascun pontefice non sono altro che puntualizzazioni e richiami per una attività apostolica più incisiva e rispondente alle esigenze del momento. Definire il papa buono o misericordioso serve soltanto per evidenziare e attirare l’attenzione sull’operato specifico. Ma non serve per limitare l’attività di un pontefice. Queste caratterizzazioni vanno usate con molta accuratezza. Perché sono limitate e qualche volta anche usate ad arte per sottovalutare l’operato pontificio. Prendono solo aspetti secondari. Dimenticando l’essenziale che caratterizza l’attività di ogni pontefice. L’eredità conciliare di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger consiste nella continua ripresa dei testi e dello spirito conciliare. Incarnandoli nella loro grande testimonianza. La lezione
del Vaticano II nell’insegnamento di Francesco più presente e più richiamata è l’evangelizzazione. Come dimostra soprattutto l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium“. Così la Chiesa si offre al mondo moderno con una forte apertura.

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