L’8 luglio del 2013 Papa Francesco visitava a Isola di Lampedusa, crocevia delle rotte delle migrazioni tra nord e sud del Mediterraneo e allo stesso tempo “periferia” del mondo ai margini degli interessi della Comunità Internazionale.
Il primo viaggio fuori dal Vaticano di Bergoglio, fece comprendere a tutti che il centro del suo magistero sarebbe stata l’attenzione per gli scartati, gli ultimi e perdenti della società globale. Le immagini di quel giorno sono ancora tra le più incisive di questo pontificato: la corona di fiori lanciata in acqua dalla motovedetta, in memoria delle vittime dei viaggi della disperazione, morte nel Mare Mediterraneo.
Quelle tragedie hanno ispirato le riflessioni del Papa, che ha coniato in questi otto anni alcuni termini diventati di uso comune, come la “globalizzazione dell’indifferenza” e la “versione distillata” che arriva in Occidente delle guerre in Libia e Africa. Lo scorso anno, nell’anniversario del 2020, Francesco ha chiesto alla “Vergine Maria, Solacium migrantium” di aiutarci a “scoprire il volto del suo Figlio in tutti i fratelli e le sorelle costretti a fuggire dalla loro terra per tante ingiustizie da cui è ancora afflitto il nostro mondo”.
Il Papa non è dunque mai sceso da quella barca ed ha continuato a tenere alta l’attenzione su di un fenomeno globale che necessita di risposte a tutti i livelli. Dai Paesi di partenza, che devono attenuare la corruzione e i conflitti interni per offrire opportunità di sviluppo e lavoro, ai Paesi di transito, in cui i mercanti di esseri umani speculano sulla disperazione, fino ai Paesi di approdo che sono chiamati a gestire i flussi e a pianificare accoglienza e integrazione, senza alimentare i conflitti sociali tra gli strati più poveri della popolazione.
In questi anni la risposta dell’Europa e di altre nazioni africane e asiatiche è stata debole, contradditoria, discontinua. Le missioni navali dell’Ue nel Mediterraneo si sono praticamente interrotte; la distribuzione dei migranti arrivati in Italia e Grecia ha riguardato solo poche centinaia di soggetti; Bruxelles continua a dare miliardi di euro alla Turchia per tenere nei suoi confini milioni di migranti siriani e del Medio Oriente e la Libia resta affossata nel caos politico-militare, con veri e propri centri di detenzione per migranti africani che vengono usati come minaccia o pedine di scambio con i Paesi europei.
I pochi esperimenti riusciti sono ancora una volta guidati dalla Chiesa. Parliamo dei cosiddetti corridoi umanitari per chi ha diritto allo status di rifugiato, organizzati da Sant’Egidio ed altre importanti realtà ecclesiastiche. Intanto gli sbarchi non si fermano, in questa prima parte del 2021 sono arrivate 20mila persone sulle coste italiane, quasi tre volte tanto rispetto lo stesso periodo del 2020. Ed è tornato in sofferenza l’hotspot di Lampedusa. Nella struttura di contrada Imbriacola sono ospitati circa 800 migranti, dopo l’ultima serie di arrivi, a fronte di una capienza di circa 250 posti.
Si parla di nuovo di un contingente italiano alla frontiera sud della Libia e di un forte sostegno alla Guardia Costiera libica, ma fermare solo tramite il controllo militare le migrazioni è come pretendere di svuotare il mare con un secchiello. Tutto appare ancora più paradossale se si considera che l’Africa è un continente giovane, con un Pil che cresce più dell’Europa e immense risorse contese da tutto il Mondo. Garantire la pace, lo stato di diritto, uno sviluppo più equo, il ricambio della classe dirigente e opportunità per tutta la popolazione sono la conditio sine qua non per non sentir parlare più di “emergenza” immigrazione.