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Anche la Spagna dice sì all’ideologia eutanasica

Giovedì scorso il Congresso dei Deputati spagnolo ha approvato il disegno di legge sull’eutanasia proposto dal Partito socialista con 202 voti a favore, 141 contrari (quelli del Partito Popolare e di Vox) e 2 astensioni: esso entrerà in vigore fra tre mesi.

Pur se durante il dibattito parlamentare il termine è stato espunto dalla rubrica, la legge disciplina l’eutanasia propriamente detta, ovvero “la somministrazione diretta al paziente di una sostanza da parte del personale sanitario competente”. Le nuove disposizioni si applicheranno nei casi in cui la sofferenza del soggetto che chiede il trattamento sia intollerabile, e a condizione egli, di nazionalità spagnola o residente in Spagna, sia “capace e cosciente” e la richiesta sia formulata per iscritto, “senza pressione esterna”, e ripetuta dopo quindici giorni.

Il medico è legittimato a rigettare la richiesta se ritiene che non vi siano i requisiti. La domanda va inoltre approvata da un secondo medico e da una Commissione di valutazione. Gli operatori sanitari sono autorizzati a rifiutarsi di partecipare al procedimento per “obiezione di coscienza”.

La Spagna si affianca così a Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Canada, fra i primi Paesi al mondo a regolamentare l’eutanasia. Anche la Nuova Zelanda ha già approvato un provvedimento similare, ma la disciplina entrerà in vigore a novembre. In Colombia la pratica è legale per via di una sentenza della Corte Costituzionale, ma non regolamentata. Essa è permessa inoltre in alcuni territori degli USA.

In Italia alla Commissione Giustizia della Camera è incardinato l’iter legislativo di analoghe proposte. Eppure in Italia il Parlamento aveva nel 2010 varato con voto unanime la legge n. 38, che sancisce il diritto ad accedere alla terapia del dolore e alle cure palliative, qualificate come livello essenziale di assistenza e obiettivo prioritario del sistema sanitario nazionale, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia  della persona umana, il bisogno di  salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza: è qualcosa che, se adeguatamente finanziato – il che finora non è avvenuto – permetterebbe di alleviare le sofferenze di chi si trova realmente in una condizione terminale, senza oltrepassare il confine del diritto alla vita.

L’ideologia eutanasica si va subdolamente imponendo specialmente in Occidente, e sembra aver gradualmente eroso la consapevolezza che l’individuo è dotato di un valore ontologico incondizionato, che ogni esistenza umana costituisce un bene intangibile ed è incommensurabilmente prezioso, e che la tutela della vita di ogni persona costituisce un principio etico universale e fondante.

Nella fase conclusiva della vita il malato è un “residuo” materiale, da spegnere il più rapidamente possibile per risparmiare fastidi e costi, oppure continua a essere una persona con la sua dignità, la cui esistenza continua a essere densa di significato? La misura della vita è determinabile da altri – i singoli che gli sono più vicini, il sistema sanitario, quello assistenziale – o non è vero che ogni criterio di “misurazione” è arbitrario, come la distinzione fra esistenze che “valgono” e altre, sacrificabili? Stiamo tornando, proprio in quella Europa dalla quale è partita la civiltà, al ripristino della legge del più forte, a discapito dei soggetti più deboli?

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