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Anche per la Chiesa è il tempo della prova

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Francesco fa tesoro dell’insegnamento dei suoi predecessori Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger per condurre la Chiesa e il mondo fuori dal tunnel del coronavirus. Per comprendere la situazione attuale è utile riprendere in mano alcune pagine memorabili della storia pontificia degli ultimi decenni. E’ opportuno focalizzare alcuni aspetti mai come ora al centro dell’attenzione: ruolo sociale della Chiesa, critica al mondialismo e al capitalismo sfrenato, urgenza di un cambio di paradigma negli stili di produzione e di consumo. I colossali contraccolpi della pandemia stanno terremotando le finanze di tutti i paesi del mondo. Anche la Santa Sede deve fronteggiare l’ingente danno economico provocato dalla chiusura dei Musei vaticani durante il lockdown e dalla diminuzione delle offerte dovuta allo tsunami Covid, oltreché lo straordinario sforzo assistenziale e caritativo a favore delle fasce più fragili della popolazione. Uno stato di necessità che la Chiesa affronta con la sapienza che le deriva dalla capacità storicamente dimostrata di superare ogni sorta di emergenza. Una sapienza ben sintetizzata dall’allora giovane presule Joseph Ratzinger, a pochi mesi dall’ingresso nell’arcidiocesi bavarese che Paolo Vi gli aveva affidato. “La Chiesa non è un partito o un’impresa finanziaria– spiegò il futuro Benedetto XVI-. La Chiesa annuncia il Vangelo e le sue responsabilità in campo sociale e politico comportano che essa deve affinare la coscienza sociale, che deve adeguare la sua dottrina sociale continuamente, in un costante e coraggioso ascolto del Vangelo”. Parole quantomai profetiche che configurano un manifesto sempre valido per la presenza ecclesiale nella vita pubblica. “La Chiesa deve vigilare sul formarsi di questa coscienza nei cristiani affinché agiscano effettivamente come tali nei loro posti di lavoro e si assumano fino in fondo in quei luoghi la responsabilità dell’Annuncio”.Nel passaggio da accademico ad arcivescovo di una diocesi di prestigio e subito dopo cardinale, Joseph Ratzinger portò un bagaglio personale di esperienze e attitudini intellettuali, in primo luogo la curiosità dell’altro e la capacità di ascoltare. Affermando pacificamente la propria identità e guardando con curiosità al diverso da sé, il professor Ratzinger, ricevuto il mandato di vescovo, seppe aprirsi al dialogo con tutte le componenti della società e della cultura. In questo modo edificò il suo governo episcopale su uno schietto confronto con la società nella convinzione che il Vangelo chiamasse la persona, cioè l’uomo, in tutte le sue dimensioni, quindi anche in quella sociale e ciò aveva precise incidenze anche sull’agire politico e sociale dell’uomo. E come poi accadde anche durante il suo pontificato, fu il rapporto tra fede e ragione la linea rossa capace di unire pensiero e azione nell’apostolato di Joseph Ratzinger.

Foto © Gerald Herbert per AP

Profeticamente attuale è anche la lezione di Giovanni Paolo II, il Papa santo del quale è stato celebrato ieri il centenario della nascita. Nella visione integralmente cristiana di Karol Wojtyla, in ogni economia e in ogni società vanno garantite la destinazione universale dei beni della terra, la garanzia della proprietà privata come condizione indispensabile dell’autonomia individuale, il rifiuto di considerare il lavoro come mera merce, la promozione di una ecologia umana, il ruolo sociale dello Stato, la necessità di una democrazia basata sui valori. Nell’intervista concessa a Jas Gawronski il 2 novembre 1993 e pubblicata da “La Stampa”, Giovanni Paolo II precisò che “il comunismo ha avuto successo in questo secolo come reazione ad un certo tipo di capitalismo eccessivo, selvaggio, che noi tutti conosciamo bene: basta prendere in mano le encicliche sociali, e soprattutto la prima, la Rerum Novarum, nella quale Leone XIII descrive la situazione degli operai a quei tempi”. E, proseguì Wojtyla, “l’ha descritto a suo modo anche Marx e la realtà sociale era quella, non c’erano dubbi, e derivava dal sistema, dai princìpi del capitalismo ultraliberale”. Quindi “è nata una reazione a quella realtà, una reazione che è andata crescendo e acquistando molti consensi tra la gente, e non solo nella classe operaia, ma anche fra gli intellettuali”. Insomma, secondo Giovanno Paolo II, c’era un “nocciolo di verità nel marxismo e questa non è una novità, è stato sempre un elemento della dottrina sociale della Chiesa, lo diceva anche Leone XIII e noi non possiamo che confermarlo”.Wojtyla scese in campo anche contro il mondialismo delle organizzazioni internazionali. Nel 1994 la Santa Sede alzò la voce alla conferenza internazionale dell’Onu sulla popolazione e lo sviluppo al Cairo. Come non ebbe esitazioni né timori a contrapporsi al comunismo e al capitalismo, allo stesso modo Karol Wojtyla puntò l’indice contro le croniche inefficienze e i drammatici errori di fondo delle organizzazioni internazionali. Il cardinale Renato Raffaele Martino, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu durante la conferenza del Cairo, ha raccontato quello snodo fondamentale del pontificato di Giovanni Paolo II nella memoria La testimonianza della verità e il dialogo politico-diplomatico pubblicata sul “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” nel 2014. Racconta il cardinale Martino: “In veste di nunzio apostolico presenziai sia alla conferenza al Cairo, la cui organizzazione fu affidata al controverso “Fondo specializzato per la popolazione”, sia alla conferenza sulle donne di Pechino che l’anno successivo ne mutuò in blocco le formulazioni sulla salute e sulla decostruzione della sessualità responsabile”. E cioè “dall’ individuazione della categoria-chiave del gender all’idea stupefacente che solo i bambini realmente voluti hanno diritto a nascere”, oltre a “un sensibile passo indietro nel campo della libertà religiosa”. La Santa Sede riaffermò le profonde motivazioni del progetto biblico di Dio sull’uomo, che è un piano di bontà e di felicità, ribadendo l’immagine del divino che ogni uomo a ogni latitudine porta con sé e sulla natura fondamentalmente relazionale di ogni persona, quindi “il campo della sessualità rientra comunque nella sfera sociale, interpersonale e dunque pubblica dell’agire umano”. Ma l’agenda programmatica della conferenza dell’Onu, appoggiata da Stati Uniti e Unione Europea, stabilì l’ imposizione arbitraria di qualsiasi mezzo per il controllo delle nascite o pianificazione familiare. Per la Santa Sede si trattava di “un invito all’immoralità di massa e al libero crimine nel caso dei bambini già concepiti”. Giovanni Paolo II non esitò mai a prendere di petto le organizzazioni internazionali, così il 5 ottobre 1995, il giorno in cui viene annunciato il cessate il fuoco nella guerra in Bosnia ed Erzegovina, prese la parola all’Onu: “Nessuno, né uno Stato, né un’altra nazione, né un’organizzazione internazionale, è mai legittimato a ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere“. E aggiunse: “Il mondo purtroppo deve ancora imparare a convivere con la diversità. Come i recenti eventi nei Balcani e nel centro Africa ci hanno dolorosamente ricordato. La risposta alla paura dell’altro non è la coercizione, né la repressione o l’imposizione di un unico modello sociale al mondo intero”. Karol Wojtyla non arretrò di un passo di fronte all’aggressione portata a termine dalla conferenza dell’Onu del Cairo contro il diritto alla vita. “La libertà non è semplicemente assenza di tirannia o di oppressione, né è licenza di fare tutto ciò che si vuole- disse Giovanni Paolo II dal podio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite-. La libertà possiede una “logica” interna che la qualifica e la nobilita: essa è ordinata alla verità e si realizza nella ricerca e nell’attuazione della verità. Staccata dalla verità della persona umana, essa scade, nella vita individuale, in licenza e, nella vita politica, nell’arbitrio dei più forti e in arroganza del potere. Perciò, lungi dall’essere una limitazione o una minaccia alla libertà, il riferimento alla verità sull’uomo (verità universalmente conoscibile attraverso la legge morale inscritta nel cuore di ciascuno) è, in realtà, la garanzia del futuro della libertà”.

Giacomo Galeazzi: