Alle Settimane Sociali per ascoltare gli invisibili

14 settembre 1968 – Primo "campeggio spastici" a "Madonna delle Vette" ad Alba di Canazei (Fondazione don Oreste Benzi)

Con la sua tonaca lisa e la proverbiale testardaggine da “infaticabile apostolo della carità” don Oreste Benzi parlò chiaro dal palco delle Settimane Sociali di Pisa. Era il 2007 e, oggi che il mondo è scosso da sanguinose guerre alle porte di casa nostra e da angosciose minacce alla sopravvivenza dell’umanità, le sue parole risuonano più che mai attuali ed evangelicamente portatrici di speranza e profezia. “Il kairos, il tempo dell’intervento di Dio è giunto, il vento è favorevole, però bisogna dare una mossa creativa – disse don Oreste -. I nostri ragazzi, i nostri piccoli angeli crocifissi, i nostri barboni che andiamo a prendere tutte le sere alla stazione, in realtà sono i soggetti attivi e creativi di umanità. Il bene che fanno loro ai giovani è incalcolabile. Dobbiamo riconoscerlo e dare una svolta concreta”.

Ai cattolici italiani si rivolgeranno da oggi a domenica il Santo Padre e il presidente della Repubblica. Trieste ospita la 50esima edizione delle Settimane Sociali per giungere “al cuore della democrazia” e per “partecipare tra storia e futuro“. Il tema, infatti, è la condivisione del bene comune attraverso il dialogo e il confronto secondo il Magistero sociale. L’obiettivo è rilanciare e attualizzare la partecipazione ecclesiale alla vita pubblica raccogliendo le sfide che l’Italia, l’Europa e il mondo sono chiamati ad affrontare. Un’occasione, dunque, per ribadire l’apporto positivo e propositivo che la Chiesa si impegna quotidanamente a realizzare contribuendo così alla tutela e allo sviluppo della democrazia.

In Italia la tradizione delle Settimane Sociali è antica di 117 anni e prosegue a Trieste sulle orme pionieristiche del Beato Giuseppe Toniolo e dei cattolici laici che inziziarono a percorrere “strade proficue per lavorare alla ricerca e alla costruzione del bene comune“. Un modello, sottolinea papa Francesco, per “uomini e donne, sacerdoti, religiosi e religiose, laici che testimoniano con la vita e lavorano efficacemente con le opere al servizio dei giovani, delle famiglie, dei più poveri”. Siamo tutti chiamati, infatti, ad affrontare, e se possibile anticipare, gli interrogativi posti dall’attuale evoluzione della società. A partire dalla salvaguardia della famiglia “tessuto quotidiano e cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali: solidarietà concreta, fatica, pazienza progetto, speranza, futuro”. Lievito nella pasta dell’intera società, evidenzia il Pontefice, poiché speranza e futuro presuppongono memoria viva” e un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani “non ha futuro”.

Dalle Settimane Sociali, quindi, si alza forte il grido a difesa della famiglia come primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo. Questioni che, come ribadito già nella “Caritas in veritate”, riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà. Riflessioni che non interessano solamente i credenti ma tutte le persone di buona volontà e cioè tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del Paese. Da Trieste si leva l’appello alla generosità, alla condivisione, alla responsabilità così da anteporre uno sviluppo equo e solidale alla mentalità individualistica. Nella fraternità si rinnova quel debito di speranza che tutti abbiamo nei confronti del Paese, in modo particolare dei giovani. Fu proprio il Beato Toniolo a insegnare che “noi credenti sentiamo, nel fondo dell’anima, la consapevolezza che chi definitivamente salverà la società presente non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi una società di santi”. Ci si santifica, infatti, lavorando per gli altri, prolungando nella storia l’atto creatore di Dio. Del resto, sottolinea papa Francesco, nelle Scritture troviamo molti personaggi definiti dal loro lavoro: il seminatore, il mietitore, i vignaioli, gli amministratori, i pescatori, i pastori, i carpentieri, come San Giuseppe. “Dalla Parola di Dio emerge un mondo in cui si lavora – avverte il Pontefice -. Ma ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità”.

E prosegue: “Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Questo è immorale e uccide la dignità, la salute, la famiglia, la società”. La dignità del lavoro è la condizione per creare “lavoro buono” secondo la lezione dell’enciclica “Rerurum novarum” e della Dottrina sociale. “Nulla si anteponga al bene della persona e alla cura della casa comune, spesso deturpata da un modello di sviluppo che ha prodotto un grave debito ecologico- raccomanda Jorge Mario Bergoglio-. L’innovazione tecnologica va guidata dalla coscienza e dai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Deve rimanere un mezzo e non diventare l’idolo di una economia nelle mani dei potenti. Deve servire la persona e i suoi bisogni umani“.

Per questo i cattolici che si sono dati appuntamento a Trieste hanno l’incarico di essere lievito sociale per la società italiana e di vivere una forte esperienza sinodale. A Pisa don Benzi lasciò come testamento spirituale la propria accorata testimonianza di servizio agli ultimi, mettendo in guardia da insidiosi pericoli individuali e collettivi. “Se l’interesse di partito, del potere, delle stanze dei bottoni diventa coscienza pratica ed attuativa si tradisce la rivoluzione cristiana, la rivoluzione di Dio – evidenziò il fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII con cui ho condiviso quotidianamente gli ultimi 15 anno di missione -. Mancano le strategie comuni da portare avanti. Ogni realtà, gruppo ecclesiale, parrocchia, movimento. Seneca dice che il vento favorevole a poco giova se il marinaio non sa dove andare. E quando la barca sta troppo ferma corre il rischio di affondare. Per inerzia, per una legge interna, per inutilità”.

E aggiunse: “Oggi, mentre siamo qui, in media, 500 bambini vengono sgozzati e uccisi. Omicidio premeditato, voluto, in Italia. 180 mila l’anno. Ma queste creature urlano e il loro grido loro sale a Dio. Mentre si sta vicino a Dio questo grido lo si sente, ma se non lo si sente, vuol dire che qualcosa c’è da rivedere nel nostro rapporto con Dio e con i fratelli. Chi tace con i fatti è complice del delitto. Le nostre mani grondano sangue. Qual è quel partito che è disposto a perdere anche un solo voto? E io ho detto: siete dei prostituti politici. Date le dimissioni e andatevene. Non potete fare questo, è una dissacrazione”. Un messaggio che riecheggia come un monito: “Individuiamo dei target da raggiungere. I nostri vescovi li dicano e la Chiesa li indichi. E poi tutti insieme portino il resoconto. Alle settimane sociali raccontiamo il cambiamento avvenuto, la trasformazione”. Così gli “invisibili” verranno finalmente ascoltati.