Da un secolo e mezzo la Dottrina sociale della Chiesa va incontro alla fragilità antropologica ed etica congenita della democrazia, quale è emersa dalla cultura moderna e si protrae oggi in varie forme. La Chiesa, allorché si cominciò a parlare di libertà e di democrazia, si mostrò contraria, perché la prima veniva fondata su una coscienza delirante e la seconda, su un giusnaturalismo immanentista, su una sovranità popolare assoluta, come unica fonte dei diritti e dei doveri dei cittadini.
Già, però, con Leone XIII, se il nuovo diritto non poteva essere approvato e avvallato in toto, a causa della sua base razionalistica e naturalistica, si riconosce ciò che di sano esso conteneva. Il pontefice, nell’enciclica Libertas praestantissimum del 20 giugno 1888, a fronte di uno Stato liberale, che intendeva strutturarsi come Stato di diritto, fondato unicamente sulla volontà generale e su una concezione egalitaria della libertà, assolutizzata ed intesa individualisticamente, propone un concetto di libertà connesso intrinsecamente con la verità, con il bene e con Dio.
È così che Leone XIII si porta al cuore del problema che attanagliava la cultura del suo tempo. Egli riprende il discorso partendo da dove erano stati recisi, dal razionalismo naturalista e individualista, i legami fra pensiero e retta ragione, fra coscienza e bene, fra libertà e verità morale, fra etica e politica. Dal riannodare le libertà delle persone con la verità e con il bene, dall’informare le legislazioni umane, gli atti di comando da una parte e gli atti di obbedienza dall’altra ‒ per quanto possibile ‒, con i contenuti della legge morale naturale, per il pontefice dipendeva il futuro dell’uomo, della società civile e degli Stati.
Oggi il mondo che si sta costruendo si manifesta come una trappola senza vie di scampo per i più deboli e i più poveri, un mondo ove sovrastano implacabili dinamismi che stringono le maglie della libertà e riconducono, come ai tempi degli Stati assoluti, ad una vita fondamentalmente eterodiretta, alienata. Di fronte a tutto questo, occorre umanizzare le istituzioni pubbliche, diventa necessario ridare un’anima etica alla vita economica, politica e democratica, oltre che alla cultura.
Urge ripensare e rimodellare in senso umanistico lo sviluppo tecnologico, affinché non sia considerato quale mero processo tecnocratico, autosufficiente, onnipotente. L’assolutismo della tecnica impedisce di cogliere ciò che oltrepassa la semplice materia. Solo andando al di là del puro fare tecnico, scorgendone il fondamento antropologico ed etico si riesce a riconoscerne la trascendenza, l’origine e il fine. Lo sviluppo è collegato, oltre che con il fare tecnico, con la crescita spirituale e morale, perché la persona è sinolo di anima e di corpo nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente.
Ciò significa intercettare l’insopprimibile desiderio di vero, di bene e di Dio e la indisgiungibile vocazione alla libertà, da cui è inabitato ogni essere umano. È con il retto esercizio della libertà che ogni persona decide di sé, dell’orientamento da dare alle proprie attività, al proprio compimento in Dio. Nella persona umana, la libertà è intimamente connessa alla ricerca della verità e del Bene supremo. Non è solo per un’esistenza fine a sé stessa. Fiorisce attraverso un’esistenza in relazione, che si realizza mediante il dono di sé, prendendosi cura dell’altro, del bene comune. La libertà non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche accrescere la libertà altrui.
Purtroppo, anche oggi non mancano gesti di una violenza efferata, cieca e vile. La libertà viene conculcata brutalmente. Recentemente il Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede. monsignor Paul Richard Gallagher, ha denunciato che il fondamentalismo, ma anche il sovranismo e la laicità ideologici, minacciano la libertà religiosa. La violazione del diritto alla libertà religiosa ha l’effetto di minare non un solo diritto, bensì l’intera categoria dei diritti umani. Oltre 365 milioni di cristiani subiscono alti livelli di persecuzione per la loro fede.
La crisi della democrazia va affrontata seriamente, intervenendo su quel punto nodale che è il rapporto tra democrazia e libertà, perché è impossibile che la prima possa sussistere senza la presenza di persone libere e responsabili. Se non si riconnette la democrazia alla persona concreta, alla libertà, come suo punto di partenza e di arrivo, permane il rischio di implosione. Si protrae nel tempo una sensazione di spaesamento, di abitare in un edificio ancora in piedi – non si sa fino a quando – ma sempre sul punto di crollare, senza vedere all’opera energie in grado di restaurarlo o di ricostruirlo. Non a caso, la cultura cristiana e, in particolare, la Dottrina sociale della Chiesa si è attivata per tempo, per dare ad essa, come fondamento stabile, coscienze capaci di ricercare il vero, il bene e Dio.