Settant’anni ha regnato, più del Re Sole e di Cesare Augusto. Ed il suo impero, una volta, il Sole non lo vedeva mai tramontare: invincibile dominava le onde degli oceani. Rule, Britannia. Che poi abbia conosciuto nell’infanzia l’ora più buia, quella in cui non ci si deve arrendere per nessun motivo, per chiudere gli occhi contornata dalla mediocrità dei pallidi imitatori di Churchill, questo non dà la dimensione del suo regno, ma della decadenza del suo Regno. A questa lei si è opposta, non senza successo ma in una battaglia di retroguardia durata una lunghissima vita. Per questo il Regno Unito oggi boccheggia, ma il regno di Elisabetta verrà ricordato come un’epoca se non felice, almeno serena.
Quando ancora non era giunta nemmeno a metà del suo tempo, vale a dire negli anni ’70 – quelli della Swinging London e degli echi non ancora spenti dei Beatles – si ripeteva che una volta arrivati allo scoccare del XX Secolo solo due regine sarebbero rimaste sulla faccia della Terra: una la regina di cuori, nel mezzo di un mazzo di carte; l’altra proprio lei. Ha dimostrato al mondo che non era vero, arrivando al 2022. La regina di cuori intanto langue nel cassetto dei giochi da tavolo sostituiti dalla play station.
Le succede Carlo, terzo monarca d’Oltremanica dotato di questo nome. Un azzardo, che pure Elisabetta doveva aver presente: al primo Carlo tagliarono la testa in piazza, su mandato del Parlamento; il secondo dovette vedersela con Oliviero Cromwell. A lungo infatti si è sussurrato che la sovrana, materna, avesse deciso di spingere il figliolo ormai incanutito ad abdicare in onore di un nipote dal nome più promettente, William come il normanno che sbarcò ad Hastings. Non è stato così, e Carlo il Temerario ora dovrà affrontare l’impresa titanica della riconquista: dell’autorevolezza internazionale, dell’autosufficienza politica lontano dall’Europa, del rapporto con le ex colonie che ormai guardano lontano, verso altre capitali dove sì si parla inglese, ma con accento sbiascicato. Che qualcuno lo salvi, perché dovrà guardarsi innanzitutto dai suoi stessi primi ministri: è una trentina d’anni che non ne emerge uno che sia all’altezza di Disraeli.
Lei, Elisabetta, ora riposerà a fianco degli antenati, che non sono poi moltissimi essendo i rami di Windsor una delle dinastie regnanti meno antiche del Continente, ma non importa. Il Novecento è stato suo, secolo breve seguito da una lunga tempesta di futili entusiasmi in cui, anche a partire da Londra, si credeva che la storia fosse finita e si potesse vivere un eterno, edonistico presente. Alla generale ubriacatura lei non ha mai partecipato: donna di sguardo lungo e profondo, sapeva che la storia il suo conto lo presenta, prima o poi. Come fece lei stessa con Gorbaciov, scomparso anche lui l’altro giorno. Il giovanotto si presentò alla porta di Buckingham Palace, in tutto il suo fulgore, nel 1985, ma lei – andando contro le indicazioni del suo governo, e governava la Thatcher – si rifiutò di aprire: il giovane bolscevico era l’erede di quelli che avevano alzato le mani su un suo prozio, un Romanov, che per di più tanto somigliava al suo adorato nonno Giorgio. Certe cose, se si è davvero sovrani e quindi ci si tiene ai parenti, non si dimenticano.
L’atto finale del suo regno non è stato l’incontro con Liz Truss: i premier sono transeunte e nessuno lo è, in questi ultimi anni, quanto un leader conservatore. No, il suo ultimo atto è stato un ricordo: il discorso per i 75 anni dalla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Disse, chiudendo un cerchio aperto da suo padre, il Re balbuziente che dovette leggere la dichiarazione di guerra alla Bbc: “Quando guardo al nostro paese oggi, e vedo quello che stiamo facendo per proteggerci e sostenerci l’un l’altro, dico con orgoglio che siamo ancora una nazione che quei soldati, marinai e avieri coraggiosi riconoscerebbero e ammirerebbero”.
Non sfugga questo voler stabilire un legame diretto tra il ’45 e l’oggi. La figlia del re balbuziente assurse al trono nel 1952, in barba alla legge salica. Da allora ha visto, più o meno nell’ordine: l’indipendenza indiana, la fine dell’Impero, il fiasco di Suez, l’umiliazione di non essere voluti in Europa da De Gaulle, la crisi economica degli anni ’70, l’avvento di Margaret Thatcher, la Britannia Fighettona di Tony Blair, la Devoluzione, le spinte centrifughe sempre più forti di Scozia e Irlanda del Nord. Da ultimo un Paese che sbatte la porta in faccia all’Europa con la stessa arroganza di un nobile decaduto, che pensa basti non pagare il conto ai fornitori per essere il signorotto temibile di un tempo. E a questo regno decadente la sua Sovrana diceva due anni fa, sentendo arrivare la fine: le onde non si lasciano più dominare, Albione. La favola bella è finita, il sole sull’Impero è tramontato da anni. E se nemmeno una regina come lei è riuscita a fermarlo, figuriamoci se mai ci riuscirà Carlo, che porta il nome di due Stuart.