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47 anni di professione di fede del Papa che riscopre il divino in noi

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Oggi è un giorno speciale per il primo Pontefice giunto dalle Americhe, il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio. Il 22 aprile 1973, 47 anni fa, il futuro Papa Francesco emette la professione perpetua nella Compagnia di Gesù dopo due anni di preparazione in Spagna. Un anniversario che coincide con il momento più buio della pandemia mondiale di Covid-19.  Il Pontefice della misericordia è diventato punto di riferimento morale per l’umanità provata e angosciata dall’emergenza sanitaria, rimettendo evangelicamente al centro della fede non la forma ma il contenuto perché “non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo“.

Un’impostazione profonda e liberatrice ben sintetizzata da padre Alberto Maggi, sacerdote e teologo, fine biblista, frate dell’ordine dei Servi di Maria: “In pandemia Francesco ci insegna a riscoprire il divino che è in noi perché la fede non è un luogo“. E aggiunge: “Purtroppo molti sono stati abituati così, per loro non c’è salvezza senza un Dio che da fuori viene a salvare l’uomo. Se si toglie loro la celebrazione della Messa non sanno cosa fare. Non capiscono che il Signore è già in noi, si fa pane nella Parola”. Jorge Mario Bergoglio parla di una Chiesa che deve operare facendo attenzione ai segni dei tempi, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Un’esortazione a camminare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma l’atteggiamento dei cristiani deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. I cristiani sono liberi per il dono della libertà che ha donato Gesù Cristo. Ma il lavoro dei cristiani è guardare cosa succede dentro, discernere i loro sentimenti e pensieri. E cosa accade fuori discernendo i segni dei tempi.

Foto ©Vatican Media

Secondo Francesco, dunque, i tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando saldi nella verità del Vangelo. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili. Il 23 ottobre 2015 Francesco esprime lo stesso concetto del suo maestro Angelo Giuseppe Roncalli. I tempi cambiano, anche i cristiani cambino. Senza paura e nella fede in Gesù. Alla messa celebrata alla Domus Santa Marta, prima dell’inizio della penultima congregazione generale del Sinodo sulla famiglia, Jorge Mario Bergoglio riconosce che non è facile capire i segni dei tempi, cosa vuole realmente dirci Cristo: troppo facile conformarsi, bisogna invece fare silenzio e osservare. E dopo fare una riflessione. E così i tempi cambiano e i cristiani devono cambiare continuamente, con libertà e nella verità della fede. In merito, Francesco cita il brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, ha detto Francesco, predica con tanta forza la libertà che ha salvato l’umanità dal peccato. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei segni dei tempi dando degli ipocriti a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo.

Dio ha creato gli uomini liberi e per avere questa libertà occorre aprirsi alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro e fuori il loro animo, usando il discernimento. Gli uomini hanno, secondo Francesco, questa libertà di giudicare quello che succede fuori di essi. Ma per giudicare devono conoscere bene quello che accade fuori da loro stessi. E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama conoscere i segni dei tempi? I tempi cambiano. Per Francesco è proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà. Jorge Mario Bergoglio riconosce che non è una cosa facile, troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare. E invece prima la misericordia poi il resto. Una concezione della sua missione che fa di papa Bergoglio non solo il capo della Chiesa o il portavoce dell’intera cristianità, bensì un interlocutore e referente morale di “tutti gli uomini di buona volontà“, secondo la lezione di Giovanni XXIII, il predecessore cui Francesco maggiormente si ispira nel magistero e che ha proclamato santo a piazza San Pietro nella stessa cerimonia di canonizzazione di Karol Wojtyla. Mettendo in fila i momenti della sua predicazione si scopre un costante richiamo alla misericordia come strumento di evangelizzazione in un mondo secolarizzato e confuso che ha smarrito molti valori ereditati da una fede radicata malgrado infedeltà e inadeguatezze.

Giacomo Galeazzi: