Anche quest’anno, in un momento particolarmente grave e difficile per tutti gli italiani, ricorderemo il 25 aprile, una storica data che ha segnato la rinascita civile e morale del nostro Paese. Oggi non ci saranno nelle nostre città manifestazioni di piazza, comizi, cortei. Ma siamo convinti che tanti italiani esporranno dalle loro finestre e dai balconi il tricolore, intonando “Bella ciao”, un modo per collegare il ricordo della nostra ritrovata libertà con la speranza di poter uscire presto dall’incubo della pandemia e da una crisi economica forse senza precedenti.
Cosi come avvenne settantacinque anni fa con il nazifascismo, non dobbiamo né possiamo arrenderci contro un nemico spietato che in queste settimane ha portato lutti e dolore in migliaia di famiglie italiane a cui siamo tutti profondamente vicini. Ecco perché, il nostro pensiero commosso va alle persone che ci hanno lasciato in silenzio in queste giornate. Parliamo soprattutto di tanti anziani, tanti pensionati italiani che hanno perso purtroppo la vita nelle residenze sanitarie assistenziali e nelle case di riposo: una circostanza drammatica, tragica, sulla quale andranno appurate anche le reali responsabilità.
Quella che stiamo tutti vivendo è oggi la nostra “guerra“ di Liberazione, una battaglia quotidiana combattuta da tanti medici, infermieri, volontari della protezione civile. Sono loro i nuovi eroi, i campioni della solidarietà e del senso del dovere, il simbolo positivo di questo 25 aprile: persone generose che lottano per il valore della vita, in difesa del ruolo indispensabile del servizio sanitario nazionale. Ciascuno di loro sta dando sé stesso per sconfiggere questo nemico subdolo e silenzioso che sta recidendo quei legami familiari, sociali, economici alla base della nostra convivenza civile.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di unità, di coesione nazionale, di solidarietà tra i Paesi europei per affrontare la fase difficile di una nuova “ricostruzione”. Nulla sarà come prima dopo questa emergenza sanitaria. Ecco perché bisogna utilizzare queste giornate per prepararci bene alla “fase due”, ma con una strategia nazionale chiara, con regole precise in tutti i settori, privati e pubblici. Non possiamo andare in ordine sparso. Abbiamo siglato ieri un accordo positivo con il Governo e le associazioni imprenditoriali che rafforza ed amplia il Protocollo del 14 marzo per garantire una ripartenza delle attività in assoluta sicurezza e tutela della salute, in tutti i luoghi di lavoro. E’ una sintesi equilibrata e responsabile. Ma occorrerà anche ripensare il nostro modello dei servizi, dei trasporti pubblici, i tempi e lo stile della nostra vita, aprendo tavoli di confronto con le Regioni ed i Comuni. Abbiamo bisogno di riorganizzare opportunamente il lavoro e di cambiare anche i turni e gli orari, con una maggiore partecipazione alle decisioni ed alle scelte delle aziende. Ma, soprattutto, occorre uno sforzo straordinario dello Stato che deve puntare a grandi investimenti pubblici per salvare l’occupazione.
Bisogna garantire la liquidità alle imprese, rifinanziare gli ammortizzatori sociali, rafforzare il sistema sanitario. Oggi è davvero il momento di sbloccare tutti i cantieri, far partire una grande modernizzazione del Paese nel settore delle infrastrutture materiali ed immateriali, nella scuola, nella ricerca, nel digitale, nella formazione delle nuove competenze, nell’innovazione, nella tutela del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali. Bisogna uscirne tutti insieme, con il sostegno concreto e speriamo finalmente solidale dell”Europa. Ma cambiando le cose in meglio: più lavoro, più sicurezza, più giustizia sociale, più integrazione e rispetto.
Non c’è un prima ed un dopo. Significa contrastare anche i “virus” della violenza, della discriminazione, del razzismo, dell’odio verso chi “è bollato” come diverso. Sono i principi fondamentali che insieme al diritto al lavoro ed alla centralità della persona ritroviamo nella Costituzione e su cui si fonda la nostra Repubblica. Da lì bisogna ripartire per superare anche questa fase difficile. Le condizioni di vita possono cambiare solo con un cammino collettivo di partecipazione, di speranza, di solidarietà, proprio come avvenne con le lotte per la Liberazione settantacinque anni fa.