Editoriale

11 settembre: il dolore e gli errori commessi

L’età delle illusioni finì una mattina di settembre, era il 2001, all’alba del nuovo secolo. Quello stesso secolo che, con l’ottimismo di chi poco ha assorbito lo studio della storia, fior di pensatori avevano immaginato come dominato dall’ineluttabile crescita economica, dall’inarrestabile espansione del sistema democratico e persino dalla pace perpetua. Il sogno di Kant unito a quello di Adam Smith e alla realizzazione della profezia di Tocqueville. Bastarono poche ore per annichilire tutta questa sicumera.

Ancora adesso il silenzioso e doloroso lavoro dell’identificazione delle vittime dell’11 Settembre non è finito: esiste un piccolo laboratorio a Manhattan che ci lavora dalla mattina alla sera. I risultati non sono scontati. Se il Vietnam ha il suo Monumento, un muro infossato con 58.000 nomi di altrettanti ragazzi morti tra le risaie, l‘attacco alle Torri Gemelle resta una tragedia ancora da metabolizzare. Fu il primo attacco straniero al territorio continentale americano dai tempi delle guerre con gli Inglesi: nessuno si sarebbe aspettato niente di simile. Nemmeno Hitler aveva osato tanto. La reazione non si fece attendere, e non si è ancora esaurita.

Bisogna infatti tornare alla proclamazione della “guerra al terrorismo” da parte di George W. Bush per capire quel che accadde dopo, e accade ancora. Gli Usa, feriti nel corpo e nell’orgoglio, vollero porsi a guida del mondo occidentale per estirpare al-Qaeda e i suoi fratelli. Non che l’una e gli altri fossero degni di particolare tolleranza, ma la caccia al terrorista per tutte le latitudini si trasformò in una goffa revisione della politica estera americana, fino ad allora retta – persino dopo la fine della Guerra Fredda – sul principio dell’equilibrio tra le potenze. Un equilibrio ben simboleggiato dal multilateralismo incarnato dalle Nazioni Unite. Per capire: quando nel 1991 Bush padre attaccò in Kuwait, lo fece forte di nove risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ed una volta assolto al mandato – vale a dire: raggiunto il confine con l’Iraq – si guardò bene dall’andare oltre, con buona pace del Generale Schwarzkopf. La guerra veniva così mantenuta nell’ambito del diritto internazionale.

Nel 2003, invece, l’Iraq venne attaccato senza motivo e senza mandato, sulla scorta di uno slogan vagamente napoleonico per cui la democrazia può essere esportata sulla punta di una baionetta. L’Onu fu ingannata e quindi vilipesa in quanto accozzaglia di funzionari corrotti e chiacchieroni. Un colpo tremendo alla sua dignità ed al suo ruolo dal quale il Palazzo di Vetro non si è ancora ripreso. L’avanzata in Iraq fu facile, i problemi vennero dopo: Falluja, centinaia di migliaia di morti, il ritiro e l’emergere del Daesh. L’Isis che crea un califfato, i confini tra gli stati della regione che di fatto saltano, la guerra civile in Siria. Nel 2007 ci si accorse del guaio che era stato combinato quando, a Monaco, Vladimir Putin prese la parola in una conferenza internazionale per proclamare l’uscita della Russia dallo stato di minorità che le era stato cucito addosso dopo il 1989. Da allora, complice il disfacimento dell’equilibrio in Medioriente, Mosca riprese posizioni che aveva perso vent’anni prima. E dopo essersi rafforzata in Medioriente è passata a fare i conti con chi ha osato staccarsi dal grembo della Madre Russia, e proclamare l’autocefalia.

Intanto l’Occidente – con tutto il suo portato di democrazia, crescita, superiorità morale – ha progressivamente perso terreno, si è ritirato, ed ora si trova a chiedersi se non fosse tutto sbagliato. No, non è così: certi valori sono buoni in sé, e sono vincenti nel lungo periodo. Tocqueville aveva ragione: la democrazia è destinata a prevalere sulla faccia della Terra. Ma l’averla voluta imporre, questo è l’errore, ha portato alla reazione altrui e all’indebolimento di una causa che, se perseguita pacificamente, è e resta nobile e forte. Per non dire della vaga intolleranza anti islamica che da allora pervade tanta parte della nostra cultura, e ci porta anche troppo spesso a confondere tra una religione e il suo fondamentalismo. Sono cose diverse, non dimentichiamolo.

La Grande Crisi dell’Occidente, di cui ci riempiamo la bocca in questi mesi, è il frutto di quegli errori. In questo – dispiace dirlo – al Qaeda quel giorno segnò un grande successo a suo favore: riuscì a trasformarci in uomini e donne più intolleranti, che invece di seguire la ragione si sono lasciati trascinare dalla Rabbia e dall’Orgoglio. Siamo ancora perfettamente in tempo per rimediare, per ritrovare noi stessi. Però ci vorrà tempo.

Nicola Innocenti

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