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La Chiesa toscana in dialogo con la modernità

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Lo scontro dottrinale e ideologico ha caratterizzato per quasi due secoli il rapporto del cattolicesimo con la modernità. La strada che dobbiamo prendere è quella indicata dal Concilio Vaticano II, la strada del ritorno al Vangelo, come seme gettato nel terreno della storia, come lievito da introdurre nella pasta del mondo”, ha detto il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e presidente dei vescovi toscani, intervenendo al convegno promosso dalla Commissione cultura e comunicazione della Conferenza episcopale toscana sul tema “Umiltà, disinteresse, beatitudine. Rileggere il Convegno ecclesiale di Firenze”, che si è svolto alla Facoltà teologica dell'Italia centrale a Firenze.

Le tre parole chiave

Mitezza, disinteresse, dono, sono le parole che il cardinale Betori ha ripreso dal discorso di Papa Francesco, come aspetti del volto di Gesù che i cristiani devono incarnare. “Sia all’interno delle comunità – ha affermato l’arcivescovo di Firenze – sia nello stare nel mondo il cristiano si riconosce per la sua attitudine a mettersi in relazione con l’altro e a farlo con uno stile di servizio”, senza tradire lo spirito del Vangelo che è quello di un dono.  “E il termine dono mi impone di ritornare alla questione dei poveri. L’attenzione alle fragilità accanto a noi, il farsene carico è un altro atteggiamento che segna la trascendenza cristiana rispetto a ciò che appare nell’umano. Là dove non si può attendere nulla di umanamente reciproco, ma solo l’attesa del dono – ha concluso Betori – lì è il luogo dei credenti in Cristo, oggi come non mai, nel contesto di una cultura in cui i principi dell’efficienza e dell’utilità dominano e creano esclusione”.

Risanare le fratture

E’ intervenuto anche l'arcivescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro, Riccardo Fontana: “La Toscana ha una identità forte, culturale e di fede. Siamo caricati di una responsabilità grossa, bisogna cogliere questi elementi che ci vengono offerti: basta lagnarsi, serve ottimismo. Siamo all’altezza del compito”. E cioè “diciotto diocesi toscane a convegno per ragionare insieme del nuovo umanesimo: lo stile cristiano da rinnovare nella linea del discorso che Papa Francesco tenne quattro anni fa nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze”.  Quindi, precisa monsignor Fontana, “mi piace molto una chiesa che non sia fatta solo di preti, frati e suore: i laici, le famiglie hanno molto da dire: bisogna riprendere il dialogo con la cultura, dobbiamo dialogare con tutti, creare un dialogo costruttivo e utile. La Chiesa non ha nemici. Uno dei suoi compiti può essere quello di risanare le fratture, fare in modo che ci sia rispetto e ascolto”.

Il Giardino del principio

“In Gesù Cristo nuovo umanesimo” si legge nella fascetta del libro “Il Giardino del principio”. Le cinque “azioni” emerse nel cammino preparatorio al Convegno ecclesiale di Firenze sono il filo conduttore del saggio “Giardino del principio. Cinque vie per un nuovo umanesimo in famiglia”, pubblicato dalla casa editrice Città Nuova. A firmare il testo è don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio nazionale della Cei per la Pastorale della Famiglia. Gli “stati generali” della Chiesa italiana caddero a metà tra il Sinodo sulla famiglia e l’apertura della Porta santa del Giubileo della misericordia.  “Il Sinodo ha saputo ridire la bellezza della famiglia, basata sul matrimonio cristiano, ma ha anche gettato una luce di speranza sulle famiglie ferite – osserva don Gentili – Nei loro confronti viene richiesta, dalla relatio finalis una nuova sensibilità pastorale e soprattutto un vero discernimento e l'accompagnamento. Ciò significa mettere il balsamo della tenerezza sulle ferite di chi vive il fallimento del proprio matrimonio”. Ciò “significa non fare di tutta l'erba un fascio, distinguere le varie situazioni e accompagnare personalmente la coppia o la persona che ha vissuto il fallimento”.

Vie familiari

L’appuntamento di Firenze si snodò quattro anni fa attorno a cinque verbi, scelti in risposta alle sollecitazioni di papa Francesco: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Nella sua riflessione, don Gentili cerca di rendere queste proposte delle “vie familiari”, capaci di trasformare la Chiesa in un’esperienza di famiglia, di fraternità, di maternità e di paternità. Don Gentili commenta anche l'aspetto su cui si è concentrato l'interesse esclusivo dei mass-media: la questione del possibile accesso ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente.

La carezza del Papa

“Va cancellata subito la grande bugia che il paragrafo che affrontava indirettamente questo tema sia stato approvato con un solo voto di scarto», precisa. “Le sezioni che riguardano queste tematiche hanno ricevute tutte il voto della maggioranza dei due terzi, quindi una forte maggioranza sinodale”. L’intento dell’autore è quello di “offrire una carezza alle famiglie che sono in Italia, con la consapevolezza che proprio loro, con le gioie e le fatiche quotidiane, sono la più idonea palestra per allenarsi al nuovo umanesimo”. Se è vero, come ama ricordare il Papa, che per educare un uomo occorre un intero villaggio, allora “la questione vera è scoprire le radici sponsali della persona umana, costruendo il villaggio dell’umano”, in cui annunciare la verità sull’uomo, restituire dignità alle famiglie e curare le ferite di una cultura che mira a cancellare le differenze.

Una nuova responsabilità per i pastori

Don Gentili sottolinea che “la relazione finale del Sinodo 2015 chiede a noi pastori una nuova responsabilità. La questione vera è che se non cade il volto giudicante che talvolta si respira nelle comunità, potranno paradossalmente cambiare anche le regole, ma non cambierà mai nulla. La questione vera è avvicinarsi alle famiglie ferite con l'atteggiamento del figlio “prodigo” e non di quello che si considera “fedele”. L'atteggiamento del figlio che restituisce l'abbraccio ricevuto dal Padre. E ciò richiede un atteggiamento che, a volte, può far dire anche, al termine del cammino di discernimento, delle cose difficili da accettare, proponendo una via faticosa che è quella del Vangelo, ma, se accompagnata dal basso, diventa una via di speranza”. E “nell'accompagnamento, il Getsemani di tante famiglie ferite si può trasformare nel Tabor, nell'esperienza di un abbraccio, di una Chiesa che rivela la misericordia di Dio”. Quindi, “come ci chiede il Papa, la Chiesa deve essere il primo ospedale da campo per chi vive il lacerarsi dei legami. E credo che questo faccia girar pagina alla Chiesa, perché diventa un nuovo modo di tradurre il Vangelo di Gesù”.

Giacomo Galeazzi: