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Riduzione in schiavitù e reati sessuali: così operava la psicosetta di Novara

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Associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e commissione di numerosi e gravi reati in ambito sessuale. Sono queste le accuse ipotizzate nei confronti dei membri della psicosetta con base operativa a Novara e adepti in prevalenza di sesso femminile, guidata – da circa 30 anni – da un 77enne. Insieme all’anziano, sono indagate altre 25 persone.

Le indagini

A portare alla luce le atrocità commesse nei confronti delle vittime è stata un’indagine, chiamata “Dionisio”, condotta dalla Questura di Novara, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Torino, alla quale hanno collaborato le squadre mobili di Milano, Genova, Alessandria, Asti, Biella, Vercelli, Verbania, Aosta e Pavia.

La denuncia

L’inchiesta era partita in seguito alla denuncia di una ragazzina. Come riporta l’Ansa, era entrata nella setta a 8 anni spinta da un familiare. In poco tempo è diventata una delle schiave dell’uomo che si faceva chiamare “Lui” o “Dottore”. I riscontri hanno documentato che almeno fino al 2011 erano rimaste coinvolte delle bambine. Le ragazze dovevano essere sempre a disposizione dell’uomo e del gruppo di donne che lo affiancava nella gestione della setta.

Un centro con psicologhe professioniste lo aiutava a fare il “lavaggio del cervello” alle prescelte, indotte a lasciare famiglia e amici quando non erano proprio loro a portarle nel gruppo.

Le “prescelte” venivano introdotte a “pratiche magiche” tra le quali, soprattutto, si annoveravano di tipo sessuale, vere e proprie torture, che servivano, nella logica impartita dal leader, ad annullare “l’io pensante”, “accendere il fuoco interiore” ed entrare in un “mondo magico, fantastico e segretissimo”. “Liberarsi da questo giogo – spiegano la dirigente della Mobile di Novara, Valeria Dulbecco, e il dirigente dello Sco, Marco Martino – era davvero molto difficile, perché le ragazze avevano rotto i ponti con la vita reale: il ‘dottore’ decideva l’indirizzo di studi, i corsi formativi o il lavoro che le ragazze dovevano effettuare, quasi sempre presso le attività commerciali legate all’organizzazione, con il fine di vincolarle indissolubilmente al gruppo settario”.

 

Manuela Petrini: