Una nuova, straordinaria scoperta che consentirà di conoscere meglio la vita dei nostri antenati e l’ambiente in cui vivevano. A distanza di ottant’anni dal primo, casuale ritrovamento di resti umani nella grotta Guattari, vicino San Felice Circeo, in provincia di Latina, sono stati rivenuti diversi reperti fossili che risalirebbero a nove uomini di Neanderthal vissuti nella pianura pontina tra i 50mila e i 100mila anni fa. Si aggiorna così a 11 il numero di rinvenimenti di questa specie nel sito laziale, uno dei più importanti al mondo per lo studio sull’uomo di Neanderthal, nostro progenitore scomparso circa 30mila anni fa. “L’uomo di Neanderthal è una tappa fondamentale dell’evoluzione umana, rappresenta il vertice di una specie ed è la prima società umana di cui possiamo parlare”, ha spiegato Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Frosinone e Latina.
Viaggio nel tempo
La scoperta è avvenuta nel corso di una campagna di scavo che interessava parti della grotta mai esplorate prima d’ora, condotta dalla soprintendenza in collaborazione con l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, iniziate nell’ottobre del 2019. “Una scoperta straordinaria di cui parlerà tutto il mondo, frutto del lavoro della nostra Soprintendenza insieme alle Università e agli enti di ricerca” ha dichiarato il Ministro della Cultura Dario Franceschini.
La grotta Guattari è un luogo che consente di viaggiare a ritroso nel tempo di decine di migliaia di anni, perché circa 60mila anni fa un crollo ne chiuse l’apertura. Da allora, tutto è rimasto così com’era fino alla scoperta da parte dell’antropologo Alberto Blanc nel 1939, che vi rinvenne anche un cranio con un foro praticato. All’epoca lo studioso non esplorò per intero la cavità, e proprio dove non ci si era spinti ottant’anni fa sono stati ritrovati una calotta cranica, un frammento di occipitale, frammenti di cranio, frammenti di mandibola, due denti, tre femori parziali e altri ancora in corso di identificazione. Si tratta di “tutti individui adulti, tranne uno forse in età giovanile. È una rappresentazione soddisfacente di una popolazione che doveva essere abbastanza numerosa in zona”, ha dichiarato Francesco Di Mario, funzionario archeologo della Soprintendenza per le province di Frosinone e Latina e direttore dei lavori di scavo e fruizione della grotta Guattari.
I diversi studi geologici, biologici e isotopici (l’esame di isotopi stabili ed elementi chimici all’interno di composti organici e inorganici) consentiranno di ricostruire i cambiamenti climatici intervenuti tra 120 e 60mila anni nella zona della pianura pontina, quale fosse la vegetazione in quel periodo e di cosa si nutrissero gli animali e i nostri progenitori. “Un’analisi sul tartaro dei denti ha mostrato che la loro dieta era molto variata. Mangiavano molti prodotti cerealicolo vegetariani, frutto della raccolta, ed è noto quanto una buona alimentazione sia fondamentale per lo sviluppo dell’encefalo”, ha illustrato Rubini.
Un “macabro” enigma
Un mistero ancora senza risposta riguarda i fossili umani della grotta. Quando Blanc per la prima volta entrò nella grotta, vi trovò un cranio, forato alla base, posizionato dentro quello che sembrava un cerchio di pietre. All’epoca lo studioso parlò di cannibalismo rituale, ma la sua ipotesi è stata contestata da chi ha ritenuto più probabile che si fosse trattato dei resti del pasto di un animale, anche alle luce del fatto che per un periodo le iene della zona usarono la grotta come loro tana. Ad oggi, tutti i teschi umani ritrovati presentano questa apertura nello stesso punto. Spiega ancora Rubini: “Dobbiamo considerare che nel nostro mestiere quello che ci troviamo sotto gli occhi è sempre il frutto dell’ultima mano intervenuta. Potrebbe quindi essere stato l’uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, oppure potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo per assicurarsi un cibo dalle alte qualità nutrienti. Oppure ancora potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso. Al momento l’unica cosa certa è che abbiamo un femore mangiato da una iena, che su quell’osso ha lasciato persino l’impronta dei denti. D’altra parte sappiamo che le iene amano rosicchiare le parti terminali delle ossa lunghe perché sono molto ricche di calcio e questo serve al loro metabolismo”. L’enigma non è stato ancora sciolto.