Con quasi 2,6 milioni di residenti a fine 2021, le donne sono poco più della metà degli stranieri in Italia (50,9%) e quasi il 9% dell’intera popolazione femminile. Sono i dati del volume “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità” del Centro Studi e Ricerche Idos e dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
Le donne migranti in Italia con permesso di soggiorni sono 1 milione e 745mila
Le donne migranti in Italia titolari di permesso di soggiorno sono 1 milione e 745mila, il 49% del totale. Quasi 7 su 10 (68,4%) detengono un titolo di lungo periodo: una quota superiore alla media (65,8%) e che sale ulteriormente in quasi tutti i gruppi europei (tra cui si evidenzia l’83,2% delle ucraine e l’86,2% delle moldave) e nelle collettività africane, asiatiche e latino-americane di più lunga immigrazione femminile (tra cui Etiopia 72,1%, Capoverde 82,8%, Filippine 72,4%, Perù 71,3%, Ecuador 80,8%, Argentina 70,8%), come pure nel caso del Marocco (70,4%), protagonista di consistenti processi di ricongiungimento già dagli anni ’90.
Emerge dal volume “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità” del Centro Studi e Ricerche Idos e dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” che sarà presentato nel pomeriggio di oggi a Roma.
Tra le titolari di un permesso a termine (31,6%) prevalgono le soggiornanti per motivi di famiglia (57,6% contro il 42,4% dei soggiornanti totali), mentre è di un quarto la quota dei permessi per lavoro (25,6% contro il 34,4%) e di appena il 7,2% (con una media del 14,8%) quella dei titoli per motivi di protezione.
Donne residenti in Italia tra i disoccupati il 52,5%
Sebbene tra gli stranieri residenti in Italia a fine 2021 le donne siano il 50,9% (quasi 2,6 milioni), esse scendono al 42% tra gli occupati (949.000) per risalire al 52,5% tra i disoccupati (199.000). Inoltre, il loro tasso di occupazione (45,4%) è in assoluto il più basso, rispetto sia agli occupati complessivi (58,2%), sia alle donne italiane (49,9%), sia agli uomini stranieri (71,7%), dai quali sono distanziate di ben 26,3 punti percentuali (tra gli italiani il divario di genere è di 16,7 punti).
Sono alcune delle anticipazioni del libro “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità”, il primo studio socio-statistico del Centro Studi e Ricerche Idos e dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” che analizza il fenomeno in maniera organica e che sarà presentato oggi, 28 febbraio 2023, alle 16.00 all’Auditorium di via Rieti a Roma.
Tra le lavoratrici regolari, quasi 9 su 10 sono occupate nei servizi (87,1%) e la metà si ripartisce in appena 3 professioni (collaboratrici domestiche, addette alla cura della persona e impiegate nelle pulizie di uffici ed esercizi commerciali), a fronte di 12 tra tutti gli stranieri e 45 tra gli italiani. Così, nonostante siano più istruite degli uomini, le immigrate hanno molte meno possibilità di trovare un lavoro coerente coi propri titoli: è infatti sovraistruito ben il 42,5% delle occupate straniere, contro il 25,0% dei lavoratori italiani e il 32,8% degli stranieri in generale.
Inoltre, esse sono più esposte al part-time involontario, che svolgono nel 30,6% dei casi, ossia in misura quasi tripla degli uomini stranieri (11,6%) e quasi doppia delle italiane (16,5%). Di riflesso, percepiscono una retribuzione media mensile di appena 897 euro al mese (-29% rispetto alle donne italiane e -27% rispetto agli uomini stranieri), una condizione che colloca la metà delle immigrate nel 20% più povero della popolazione. In particolare, il crescente inserimento occupazionale delle donne italiane ha avuto come contropartita la diffusa delega alle straniere del lavoro domestico e di cura: un compito che continua a ricadere primariamente sulle donne e che, per le immigrate, si traduce in un accesso penalizzante al lavoro, che le confina in ruoli di accudimento e, al tempo stesso, sacrifica la loro dimensione familiare e affettiva.
Nel comparto domestico il 70% degli addetti è straniero e, tra questi, l’85% è una donna. Anche a causa della massiccia concentrazione nella collaborazione domestica e familiare, durante la pandemia le straniere sono state più esposte ai contagi da Covid-19 sul posto di lavoro, i quali le hanno riguardate in ben 8 casi ogni 10 denunciati da lavoratori stranieri nel 2020 e 2021.
Migrazioni femminili in Italia: 2,6 milioni residenti nel 2021
Con quasi 2,6 milioni di residenti a fine 2021, le donne sono poco più della metà degli stranieri in Italia (50,9%) e quasi il 9% dell’intera popolazione femminile. Il loro numero cresce soprattutto dalla metà degli anni ’90 e supera il genere maschile all’inizio del nuovo millennio.
I dati – viene sottolineato nel documento Idos – mostrano l’estrema varietà delle provenienze geo-culturali e, allo stesso tempo, la preminenza di determinati gruppi: sono 192 le collettività rappresentate, con le prime 10 che raccolgono i due terzi del totale (65,6%).
Le prime cinque contano più di 100mila residenti donne: Romania (617mila, 24,1%), Albania (204mila, 8,0%), Marocco (192mila, 7,5%), Ucraina (175mila, 6,8%) e Cina (148mila, 5,8%). Seguono Filippine (90mila, 3,5%), Moldavia (76mila, 3,0%), India (68mila, 2,6%), Polonia (56mila, 2,2%) e Perù (54mila, 2,1%), secondo una graduatoria che ricalca solo in parte quella delle presenze complessive.
Sul piano continentale prevalgono le europee (54,9%, quasi un terzo comunitarie: 31,9%), seguite da asiatiche (19,5%), africane (16,9%) e americane (8,7%). Il rapporto tra i sessi varia molto all’interno dei vari gruppi. Le donne prevalgono tra gli europei (58,7%) e gli americani (60,5%), mentre sono minoritarie tra gli asiatici (44,3%) e gli africani (38,1%).
Tra le collettività più numerose le incidenze maggiori si riscontrano per l’Ucraina (77,8%) e la Polonia (74,7%), seguite da Moldavia (66,1%), Perù (57,6%), Romania (56,9%) e Filippine (56,7%): realtà diverse, ma accomunate da migrazioni autonome femminili incanalate nel lavoro domestico e di cura. All’opposto, Pakistan (28,0%), Bangladesh (28,7%) ed Egitto (34,0%) sono collettivi con una netta prevalenza di ricongiunte. Con un’età media di 37,4 anni rispetto ai 33,8 degli uomini, le donne sono più presenti nelle classi di età più avanzate. Negli ultimi dieci anni, inoltre, hanno mostrato un invecchiamento più marcato: una dinamica di rilievo, in particolare in termini di bisogni e relative tutele.