Qualcuno cambia, qualcuno non c’è mai stato e, probabilmente, mai ci sarà. Il palinsesto di Disney + modifica qualcosa senza in realtà modificare nulla. Semmai qualcosa aggiunge la casa di produzione più famosa del mondo, che decide di apporre un avviso ai naviganti. Anzi, agli spettatori, che siano essi bambini o adulti: alcuni dei film (cartoni perlopiù) proposti, portano con sé contenuti stereotipati e razzisti. Con riferimenti ben precisi ad alcuni tra i più famosi e amati cartoon firmati Walt Disney, come Peter Pan, Dumbo e Gli Aristogatti. Ma anche altri meno conosciuti, come Song of the South, meglio noto in Italia come I racconti dello zio Tom, finiscono al centro dell’ondata portata dal Black Lives Matter. Le vicende di uncle Remus, di Fratel Coniglietto e dello Zip-a-Dee-Doo-Dah su Disney + non ci sono nemmeno.
Lo zio Tom
Ma la vicenda di Song of the South è in realtà abbastanza lunga. Un po’ come Via col vento, la storia di “zio Tom” (ricalcato nella traduzione italiana dal più noto romanzo della Beecher Stowe La capanna dello zio Tom) e del piccolo Johnny sembra mostrare una piantagione del Sud degli Stati Uniti forse troppo gioviale per la Georgia della seconda metà dell’Ottocento. Anche se, in realtà, il film è ambientato dopo l’abolizione della schiavitù, non è mancato chi, fin dagli albori, ha tacciato la creatura di Harve Foster e Wilfred Jackson di revisionismo.
I Corvi di Dumbo
Più prossime, anche se non meno controverse, le vicende degli altri cartoni Diseny finite al centro di un minuzioso controllo sui contenuti. “Questi stereotipi erano sbagliati allora e sono sbagliati adesso”, chiosa la casa di produzione. Di fatto, andando a rileggere se stessa e cercando di porre un rimedio laddove i tempi e le impalcature psico-sociali dei decenni scorsi hanno creato la criticità. Con Dumbo, ad esempio, siamo nel 1941 (prima di Song of the South, che è del ’46) ma il dibattito sui personaggi dei Corvi, che compaiono verso la fine del film, si può dire che prosegue ancora oggi. Per i detrattori dei cinque volatili, essi incarnano il perfetto stereotipo della comunità afroamericana, sia nell’abbigliamento che nel modo di cantare (indicato da alcuni come una parodia dei minstrel show, cantati da bianchi con la faccia dipinta di nero). Discussione anche sul nome del leader del gruppetto, che nel film non viene peraltro mai pronunciato. Jim Crow, come le leggi che avviarono la segregazione razziale negli Usa. Per alcuni una presa in giro, per altri la riprova dello stereotipo razzista.
Asiatici e nativi
Ma non solo gli afroamericani naturalmente. Lilli e il vagabondo (1955), assieme a Gli Aristogatti (1970), contengono avvertenze contro stereotipi riguardanti gli asiatici. I dispettosi gemelli siamesi, così come il tastierista della Scat Cat band, amica del gatto Romeo, incarnerebbero una visione razzista delle persone provenienti dall’Asia: “Il gatto è raffigurato come una caricatura razzista dei popoli dell’Asia orientale con tratti stereotipati esagerati come occhi obliqui e denti da coniglio. Canta in un inglese poco accentato, doppiato da un attore bianco e suona il piano con le bacchette. Questa rappresentazione rafforza lo stereotipo dello straniero perenne”. Decisamente più lampante la situazione per quanto riguarda Peter Pan e la famosissima canzone What makes the red man red?, Perché è rosso l’uomo rosso?. Oggi il termine “pellerossa” è considerato un insulto verso i nativi americani ma all’epoca (1953) sopravvivevano ancora. Tra l’altro, anche il disegnatore Marc Davis, qualche anno più tardi, avrebbe ammesso come la rappresentazione dei nativi non fosse la migliore possibile.
Anche qui la Disney avverte, spiegando semplicemente: “Invece di rimuovere questo contenuto, vogliamo ammetterne l’impatto dannoso, trarne insegnamento e stimolare il dialogo per creare insieme un futuro più inclusivo”. Gli autori si impegnano a rivedere l’intero catalogo. Di lavoro ce ne sarà.