Il mondo non è avvezzo agli anni Venti. Se nella prima parte di questo decennio il genere umano si trova ad affrontare la minaccia del nuovo coronoavirus, non a tutti è sfuggita la similitudine con un’altra, fatale epidemia che scosse il mondo nel 1918: l’influenza spagnola. Il “nemico invisibile”, il virus H1N1, uccise tra 50 e 100 milioni di persone. Negli Usa, non ha consolato il fatto che l’ufficio del Congresso deputato al budget nazionale abbia riesumato uno studio sugli effetti dell’influenza “spagnola” per studiare gli shock economici. Ma cosa sappiamo di quella che fu la pandemia più terribile del Novecento? E dell’epidemia che stiamo vivendo?
La polmonite
Una caratteristica del virus nCoV-2019 è che, in taluni casi, può raggiungere le vie aeree profonde attaccando i polmoni. In questi casi l’organismo, già impegnato a contrastare il patogeno, non ce la fa e può incorrere in insufficienza respiratoria. Accade questo nei pazienti ricoverati nei reparti di malattie infettive, che necessitano di un apposito macchinario. Per questo, si consiglia alle persone immunodepresse e ai più fragili come gli anziani, di evitare i contatti ravvicinati. Anche l’H1N1 è stato ampiamente dimostrato che la maggior parte delle morti sopraggiungeva per la polmonite.
Chi colpisce
Il coronavirus colpisce specialmente gli anziani. Questo non significa che i giovani ne siano immuni, ma la loro risposta immunitaria è tale da contrastare, nella maggior parte dei casi, il virus. Il rischio di una convalescenza più seria, invece, aumenta con l’età. Nel caso della cosiddetta “spagnola”, viceversa, furono i giovani i più colpiti. L’aggressività dell’H1N1 era tale che, negli organismi più giovani, il sistema immunitario produceva delle molecole che riempivano di fluidi i polmoni, provocando insufficienza respiratoria. Gli anziani, paradossalmente, resistettero di meno: gli scienziati ipotizzano che forse fu dovuto da una sorta di parziali immunità sviluppata da un epidemie di influenza simile negli anni Trenta dell’Ottocento.