Il 19 aprile del 2005 l’allora cardinale Joseph Ratzinger salì al soglio di Pietro prendendo il nome di Benedetto XVI. Da allora sono trascorsi quindici anni, nel 2013, dopo otto anni dall’elezione, Benedetto XVI ha abdicato diventando Papa emerito e dando vita ad un nuovo conclave. La fumata bianca, dopo poche settimane da quel giorno funesto, portò un nuovo nome, Jorge Mario Bergoglio, diventato poi Papa Francesco.
Per ricordare questo momento Interris.it ha incontrato Fabio Zavattaro, giornalista vaticanista Rai. “L’elezione di Ratzinger è stata un’elezione per alcuni versi attesa, forse non c’era altro candidato possibile perché lui era stata la persona più vicina a San Giovanni Paolo II, durante gran parte del suo pontificato. Per questo motivo Benedetto, nonostante le diversità, rappresentava una continuità del pontificato del suo predecessore, perché molto di ciò che è stato compiuto da San Giovanni Paolo II, nei 27 anni in cui è stato Papa, portava dietro il pensiero e la mano dell’allora cardinale Joseph Ratzinger”.
Otto anni dopo l’elezione di Papa Benedetto, la Chiesa si ritrova con un Papa Emerito e un Papa regnante, Francesco, cosa è cambiato in questi anni?
“Come ha detto il Cardinale Sodano, la rinuncia di Papa Benedetto è stata un fulmine a ciel sereno, perché nessuno se lo aspettava. Una rinuncia che Papa Benedetto, tra l’altro, ha fatto in un modo liturgicamente interessante, alla vigilia della Quaresima, con tutto il tempo per poter fare una riflessione dedicata alla necessità della conversione. Interessante perché l’elezione è poi avvenuta poco dopo la Pasqua. Rinuncia ed elezione hanno quindi una particolare continuità dal punto di vista liturgico, essendo avvenute entrambe durante il periodo della Quaresima. Benedetto rinuncia perché non aveva più la capacità fisica di proseguire il pontificato e credo se ne fosse accorto durante il viaggio in America Latina quando prese consapevolezza che l’anno successivo non sarebbe riuscito a fare il viaggio in Brasile in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. D’altronde molte delle cose accadute durante il suo pontificato, come Vatileaks, ed altre accuse poi rivelatesi infondate, penso abbiano portato il Papa a fare quella scelta”.
Tre parole per descriverlo?
“Papa teologo, Papa umile e Papa timido”.
E se si volesse trovare una caratteristica che lo accomuni a San Giovanni Paolo II e a Papa Francesco cosa direbbe?
“I tre papi sono uniti da un forte legame di continuità nei confronti del concilio: Giovanni paolo II partecipò al concilio da vescovo, Ratzinger era un teologo, mentre Francesco il concilio l’ha vissuto da sacerdote, da gesuita in America Latina. Giovanni Paolo II quindi visse quel concilio da pastore che guardava alle Chiese dell’est in modo particolare, perché è da quelle realtà che proveniva. Benedetto l’ha interpretato da teologo, cercando di radicarlo in continuità con il pensiero sull’ecumenismo di Wojtyla. Francesco di quel concilio ha messo in atto in particolare l’attenzione evangelica e concreta per i poveri e gli ultimi. I suoi gesti durante questa pandemia credo che siano insuperabili e difficili da veder realizzati da altri perché Francesco è il Papa dei gesti. Il Papa che silenziosamente attraversa piazza San Pietro, il Papa che si preoccupa di pregare per le persone che sono in difficoltà e per coloro che in prima fila stanno affrontando questa emergenza, è il Papa che da sempre è stato in mezzo gente. Francesco è il Papa della gente”.