Salvadot Dalì ha percorso il Novecento quasi per intero seminando tracce indelebili che sono diventate icone del secolo “in bianco e nero”.
Baffi lunghi e sottili, ispirati a quelli del maestro del Seicento spagnolo Diego Valasquez, abiti di velluto dai colori sgargianti con ricami in oro: Dalí di certo non ha mai brillato per discrezione, capace già con il suo aspetto di raccontare il suo immaginario onirico, ovattato e surreale.
La sua vita è stata intensa, ha danzato sempre in equilibrio tra realtà e finzione, trasformando la sua esistenza in uno dei suoi mondi onirici, dove gli orologi si sciolgono al sole, i gatti volano e gli animali hanno zampe lunghissime e sottili, come i suoi baffi. La vita di Dalí apparve singolare sin dai primi anni. Suo fratello maggiore, che si chiamava Salvador (anche lui) morì di meningite nove mesi prima che l’artista nascesse. I genitori si convinsero quindi che il neonato non fosse altro che la reincarnazione del figlio morto, e di questo persuasero anche il giovane Salvador Dalí, che ci credette per tutta la vita.
L’iniziazione all’arte avvenne da piccolo
Salvador Dalí fu iniziato all’arte fin da giovane. Il padre, quando il ragazzo aveva solo sedici anni, organizzò una mostra dei suoi disegni a carboncino. In seguito Salvador si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Madrid ma fu cacciato nel 1926 perché si rifiutò di dare l’esame finale dichiarando che nessuno dei membri della commissione era abbastanza competente per giudicarlo. Dopo l’esperienza di Madrid, Dalí si recò a Parigi dove fece la conoscenza di Picasso, artista che il giovane Salvador ammirava da lungo tempo.
Sempre nel 1929 conobbe Gala Eluard, di undici anni più grande di lui ed ex moglie dell’amico poeta Paul Éluard. I due si sposarono civilmente nel 1934, per poi risposarsi, questa volta con una cerimonia religiosa, nel 1958. Dalí si legò moltissimo alla donna sia (ovviamente) sentimentalmente ma anche professionalmente. Gala era infatti bravissima nel promuovere le opere e l’immagine pubblica di suo marito. Del resto l’arte di Salvador Dalí valicava i confini dei musei per riversarsi con forza nella sua esistenza quotidiana. Lo stesso artista si impegnava moltissimo affinché anche la sua immagine pubblica e le sue azioni venissero considerate “surrealismo”.
Il periodo della seconda guerra mondiale
Nel 1940, con l’inasprirsi del Secondo Conflitto Mondiale, Salvador Dalí lasciò l’Europa per volare a New York con Gala. Negli Stati Uniti venne accolto come una star. Collaborò con Hitchcock per il film Io ti salverò, lavorò con Walt Disney, disegnò gioielli, complementi d’arredo (famoso il suo Telefono Aragosta) e mobili. È suo il logo dei lecca lecca Chupa Chups. L’enorme operazione di marketing che mise in moto con la sua immagine e con le sue creazioni fu causa di aspri dissapori con i colleghi surrealisti. Nel 1982 con la morte dell’amata Gala si spense anche Salvador Dalí. Smise di mangiare e bere, si chiuse in casa e rinunciò a frequentare persone. Una delle ultime visite fu quella del re Juan Carlos che andò a trovarlo nel 1988 in ospedale e gli confessò di essere un suo grande ammiratore. Dalí morì un anno dopo per un attacco di cuore, a 84 anni.