Negli ultimi 25 anni almeno 2.297 tra giornalisti e personale nel settore dei media hanno perso la vita cercando di informare il mondo su guerre, rivoluzioni, criminalità e corruzione: è quanto emerge da un rapporto della International Federation of Journalists (Ifj) che verrà pubblicato la settimana prossima. Il documento, di 72 pagine, è stato ottenuto dall’agenzia stampa Ap in vista di un dibattito in programma per oggi al Parlamento britannico sulle morti dei giornalisti nelle zone di conflitto.
Nel 1990, da quando la federazione ha cominciato a raccogliere le statistiche, il bilancio dei giornalisti morti era di 40 ma dal 2010 non è mai sceso sotto la soglia dei 100. E i loro assassini, spiega il rapporto, restano nella maggior parte dei casi impuniti. “Gli ultimi 10 anni sono stati i più pericolosi e l’IFJ stima che solo per un omicidio su dieci si trova il responsabile: è una questione diplomatica, dobbiamo fermare l’impunità che protegge gli assassini […] è il momento di fare qualcosa a riguardo” ha dichiarato in un’intervista Anthony Bellanger, segretario generale di IFJ. L’International Federation of Journalism basa le informazioni contenute nel rapporto su una varietà di fonti, tra cui affiliati in circa 140 nazioni, fonti della polizia e rapporti politici di varia natura.
Quest’anno sono già 16 i giornalisti morti ammazzati nel mondo: Afghanistan, Burundi, Iraq ma anche Francia (l’anno scorso la tragedia di Charlie Hebdo), Russia, Stati Uniti, Messico e Italia, il mestiere di giornalista è in tutto il mondo un mestiere sempre più pericoloso. L’Iraq è in cima alla lista come paese più pericoloso per i cronisti: negli ultimi 25 anni sono almeno 309 gli omicidi che li vedono come vittime designate. Al secondo posto ci sono le Filippine, con 146 omicidi, e al terzo posto il Messico, dove la violenza dei narcos ha falciato 120 vite in 5 lustri.