Di lei non si hanno più notizie da mesi. Dopo un iniziale sollevamento dell'opinione pubblica per capirne le sorti e chiederne a gran voce la liberazione, è sceso il silenzio attorno alla vicenda di Silvia Romano, la volontaria italiana rapita in Kenya il 20 novembre scorso. Ora, al termine di un vertice avvenuto a Roma tra le autorità giudiziarie italiane e kenyote, emerge qualche nuovo elemento che, però, non sembra avvicinare di molto alla soluzione del drammatico caso: secondo quanto riferito da due cittadini kenyoti, arrestati il 26 dicembre poiché ritenuti esecutori del sequestro della ragazza, avvenuto nel villaggio di Chakama (a circa 60 chilometri da Malindi), la 23enne milanese sarebbe stata viva fino a Natale, giorno in cui sarebbe stata ceduta a un'altra banda. Per questo, le informazioni dei due si fermerebbero al momento qui.
Il rapimento
Il vertice è stata un'occasione per ricostruire le tappe del sequestro avvenuto a Chakama, appurando nuovamente la pianificazione e la messa in atto da parte dei rapitori che, pare, stessero già da giorni seguendo Silvia nei suoi spostamenti. Un'azione che, secondo le autorità, sarebbe da ricondurre alla criminalità locale, un commando di 8 persone, armate con fucili e granate, un arsenale sufficiente a spaventare la popolazione del villaggio locale e a portare via Silvia, priva di telefono e di passaporto. Tre di queste sono agli arresti, due fermate nel giorno di Santo Stefano e in attesa di processo (inizio previsto il 29 e 30 luglio), mentre una terza (un cittadino somalo 35enne) era stata trovata in possesso di una delle armi. Inizialmente, era parsa possibile una risoluzione rapida della vicenda, visto che il commando era stato dato come braccato mentre, a quanto pare, già a partire dal 26 dicembre i suoi componenti non erano più i carcerieri della giovane cooperante. Sempre dall'incontro, partecipato fra gli altri dal procuratore generale del Kenya, Noordin Mohamed Haji e Sergio Colaiocco, pm titolare del procedimento, è emerso che i carabinieri del Ros torneranno in Africa a breve, per proseguire la collaborazione con le autorità locali e per cercare di inidivduare qualche traccia della giovane volontaria. Un dramma che, al momento, sembra non offrire soluzione a chi vive nell'angoscia e nel dolore ormai da otto lunghissimi mesi.