Diciotto arresti e due fermi come indiziati di delitto. E’ questo il risultato dell’operazione Juke Box avvenuta a Catania. Tredici custodie cautelari in carcere e 5 ai domiciliari a persone ritenute esponenti di spicco del gruppo di San Giovanni Galermo e del clan Assinnata di Paternò, facenti parte della famiglia di cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano, notoriamente attivo in tutta la provincia etnea.
Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di concorso in estorsione continuata, commessa con l’aggravante del metodo mafioso per aver chiesto il ‘pizzo‘ a commercianti e imprenditori.
Le indagini
Le indagini, avviate lo scorso aprile a seguito della denuncia di un commerciante, hanno ribadito la consolidata prassi del clan Santapaola della sottoposizione di commercianti ed imprenditori al pagamento del “pizzo” in cambio di protezione mafiosa.
Le indagini, svolte nel minor tempo possibile al fine di tutelare le persone offese, hanno confermato le richieste estorsive poste in essere dalla frangia operante nel quartiere San Giovanni Galermo del capoluogo etneo nei confronti di due imprenditori, padre e figlio, proprietari di una nota catena di supermercati.
Le vittime, inizialmente titolari di un punto vendita aperto nel 2001 ad Aci Sant’Antonio (CT), furono avvicinate dai criminali, i quali offrirono la loro “protezione” in cambio di denaro, minacciando altrimenti far saltare in aria il supermercato.
Gli imprenditori iniziarono così a pagare mensilmente dapprima la somma di euro 350, quindi salita prima a 700, poi a 1.000 ed infine a 1.500 euro, in funzione dell’apertura di ulteriori altri due punti vendita situati a Valcorrente (Belpasso) e Misterbianco, nonché di un Bar Tabacchi nel quartiere di San Giorgio a Catania, oltre al versamento di periodiche somme di denaro oscillanti tra i 500 ed i 1.500 euro versati agli esattori in occasione di ogni festività pasquale e natalizia.
Donne
Di particolare rilievo – si legge nel comunicato delle forze dell’ordine – appare inoltre il ruolo esercitato dalle donne in seno all’organizzazione mafiosa in questione.
Infatti a seguito dell’arresto di alcuni degli affiliati che si erano avvicendati nella riscossione del pizzo, le indagate hanno sostituito i propri congiunti nelle richieste estorsive e nella riscossione delle rate mensili.
In particolare Rita Spartà, moglie di Salvatore Gurrieri, e la sorella Francesca Spartà, moglie di Salvatore Basile, erano state incaricate dalla consorteria di provvedere a ritirare il pizzo, mentre Maria Antonietta Strano (per cui sono stati riconosciuti dal Gip i gravi indizi di colpevolezza ma non le esigenze cautelari), moglie di Roberto Marino, riceveva presso la sua abitazione le rate estorsive.
Dopo una forzata pausa nei versamenti dovuta al periodo Covid, era stata proprio Francesca Spartà, subito dopo lo scorso ferragosto, a recarsi in uno dei punti vendita chiedendo alla vittima di riprendere subito i pagamenti e il versamento degli arretrati, avvisando il titolare dell’esercizio commerciale che da quel momento non era più protetto da rapine e danneggiamenti.
Il giorno successivo lo stesso supermercato ha subito una rapina da parte di tre soggetti con il volto coperto ed armati di pistola. Poi, la denuncia che ha avviato le indagini e portato agli arresti.