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Quelle armi inviate ai “ribelli” siriani

Trecentocinquanta per tre anni, a partire dal 2015. Tanti sarebbero i voli diplomatici attraverso i quali le armi sarebbero state fornite da alcune diplomazie ai “ribelli” in guerra contro l’Esercito nazionale siriano. A scoprire il traffico, circa un anno fa, Dilyana Gaytandzhieva, giornalista bulgara del giornale Trud. “Ero con un cameraman, avevamo i nostri informatori e quando i jihadisti si sono ritirati dalle loro posizioni ad Aleppo Est, quello stesso giorno siamo entrati in quella parte di città: non è stato difficile trovare i depositi”, racconta la giovane reporter a RaiTre.

In base alle sue ricostruzioni, nelle forniture di armi sarebbero coinvolte le ambasciate dell’Azerbaijan in Serbia, Croazia, Romania, Repubblica Ceca e Montenegro. Le armi venivano inviate in Siria su voli diplomatici e acquistate da compratori insospettabili. “È stato choccante per me – afferma – che i documenti indicavano come acquirenti di tutte queste armi il comando operazioni speciali degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti”. In realtà – secondo la sua inchiesta – le armi venivano poi inviate ai ribelli. Una pratica vietata dal trattato sul commercio sulle armi.

Nel luglio 2017 la Gaytandzhieva è stata interrogata dai servizi di sicurezza bulgari sulle fonti del suo servizio giornalistico. La donna ha però rifiutato di fornire questo tipo di informazione appellandosi al segreto professionale. Subito dopo, la reporter bulgara è stata licenziata dal giornale per cui lavorava. “Non è cambiato nulla: la Bulgaria continua a vendere armi, sulla carta agli Stati Uniti, ma queste armi in realtà non vanno agli Stati Uniti, ma ai jihadisti in Siria”, rimarca oggi la Gaytandzhieva.

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