“Atti di inumana violenza”. Così la Procura di Catania, che sta indagando sul traffico di esseri umani dopo il tragico naufragio di domenica scorsa, ha definito il “trattamento” subito da alcuni migranti prima e durante i viaggi della speranza. Storie agghiaccianti, come quella di un ragazzo ucciso e gettato in mare mentre raggiungeva il peschereccio poi affondato perché si era alzato senza permesso. O quella di decine di persone stipate in una fattoria, “picchiate selvaggiamente con dei bastoni” perché “non obbedivano agli ordini dei trafficanti”. Alcuni di queste sarebbero morte in seguito alle percosse subite o di stenti.
“Dal complesso delle dichiarazioni può affermarsi ragionevolmente che sul peschereccio” che ha fatto naufragio al largo della Libia “vi fossero oltre 750 persone”. E’ questa la valutazione dei giudici sugli atti dell’inchiesta dalla quale emerge anche la “presenza poco prima della partenza di personale libico, indicato come poliziotti” che avrebbero ricevuto dei soldi. “Il riconoscimento di entrambi gli indagati è effettuato dalla maggior parte dei testi e quasi tutti riferiscono che il comandante era anche il conducente”.
Del secondo, un siriano che ieri ha accusato l’indagato tunisino, “molti dicono che faceva eseguire gli ordini del comandante, che faceva uso di un telefono satellitare per mantenere i rapporti con l’organizzazione libica, almeno in un paio di circostanze tra cui una nella fase di avvistamento del mercantile portoghese”. Sul capovolgimento del peschereccio libico “molti riferiscono di tre urti causati dalle manovre del comandante tunisino che avrebbero provocato forti oscillazioni”.