Condannato alla pena di morte. E’ questo il verdetto finale sceso sulla testa di Dylann Roof, il 22enne bianco autore del massacro nella chiesa della comunità afroamericana a Charleston, in South Carolina (Usa).
La vicenda è presto detta: il 17 giugno 2015, verso le 21:05, Roof si recò presso la chiesa Emanuel Africana Metodista Episcopale di Charleston e, durante una preghiera, uccise a colpi di arma da fuoco nove afroamericani, incluso il pastore e senatore di Stato Clementa C. Pinckney – noto in città per le sue attività in difesa dei diritti degli afroamericani – e ferito un’altra persona. Pinckney era considerato uno dei simboli della veglia per Walter Scott, il ragazzo afroamericano disarmato ucciso da un poliziotto bianco il 4 aprile dello stesso anno, omicidio che aveva suscitato numerose proteste contro la polizia da parte della comunità nera. Dopo la fuga dalla chiesa, iniziò la caccia al ragazzo, che terminò il giorno dopo a Shelby, nella Carolina del Nord, dove Roof venne arrestato.
La giuria è rimasta riunita per circa tre ore prima di deliberare il verdetto finale. La sentenza di morte è giunta dopo una serie di deposizioni dell’imputato che non ha mai mostrato alcun rimorso o segnale di pentimento. Al contrario, il 21enne ha insistito ancora oggi davanti ai giudici sui suoi intenti dichiarati all’arresto: ripristinare la segregazione razziale o – quanto meno – innescare una guerra tra bianchi e neri. Roof, infine, ha respinto le ipotesi di eventuali turbe psicologiche e non ha mai chiesto perdono o clemenza.
Non ha avuto peso nella decisione finale la storia familiare del giovane, segnata dall’abbandono del padre all’età di 5 anni, da numerosi fallimenti scolastici (cambiò sette istituti superiori, fino al totale abbandono degli studi), da un grave stato di isolamento sociale e, sopratutto, dall’abuso di droghe leggere e pesanti, iniziato sin da giovanissimo.
Proprio davanti al computer, dove passava la maggior parte del suo tempo tanto da destare la preoccupazione in uno zio materno che sottolineava il fatto che il giovane non studiasse né avesse un’attività lavorativa, Roof conobbe e appoggiò “supremazia bianca”, un movimento ideologico basato sull’idea che gli uomini bianchi siano superiori agli altri gruppi razziali e a favore della segregazione raziale. Tre giorni dopo la strage, la polizia scoprì che Roof navigava nel sito web “The Last Rhodesian”, in cui vennero trovate foto con lui in posa con simboli Neo-Nazisti.