Il Tribunale della Città del Vaticano ha condannato a 5 anni di reclusione e 5mila euro di multa mons. Alberto Capella, consigliere di nunziatura reo confesso nel processo per la detenzione, cessione e trasmissione di materiale pedopornografico. I promotori di giustizia, Gianpiero Milano e Roberto Zanotti, avevano chiesto 5 anni e 9 mesi e 10 mila euro di pena pecuniaria.
Le dichiarazioni
“Gli errori che ho fatto sono evidenti, ed evidente è anche il fatto che si riferiscono a un periodo di fragilità. Sono dispiaciuto che la mia debolezza abbia inciso sulla vita della Chiesa, della Santa Sede e della diocesi e sono addolorato per la mia famiglia” aveva detto mons. Capello prima della decisione. “Spero che questa situazione – aveva aggiunto – possa essere considerata un incidente di percorso nella mia vita sacerdotale, che amo ancora di più”. L'ex diplomatico aveva poi espresso il desiderio “di continuare il sostegno psicologico“, ha proseguito Capella. “Spero che questo processo possa essere di qualche utilita' nel corretto inquadramento dei fatti”.
Requisitoria
Il promotore di giustizia Milano aveva cominciato la sua requisitoria sgombrando il campo da ogni dubbio circa la titolarità della giurisdizione vaticana: per la Santa Sede, infatti, qualsiasi reato commesso da un pubblico ufficiale vaticano, in qualsiasi territorio, rientra nella sua competenza. Riguardo al materiale sequestrato, la legislazione vaticana – ha detto il rappresentante dell'accusa – è molto più restrittiva rispetto a quella italiana, in quanto non distingue tra immagini reali e virtuali. Di qui la pregnanza della “ingente quantità”, dimostrata anche dal fatto che le immagine scaricate dal cellulare di Capella sono state archiviate in un cloud e consultate in diversi punti, l'ultima volta nell'ottobre del 2017. Segno, quindi, di “un comportamento reiterato nel tempo che non è mai venuto meno”, come dimostra anche l'attività in chat. Le immagini, inoltre, quando venivano condivise erano accompagnate da “apprezzamenti“. Nelle chat, infine, “si prospettavano anche incontri reali”. “Non era una captazione accidentale e fortuita di materiale, ma l'indice di una attivita' illecita di ingente quantità”.
Difesa
Quest'ultima considerazione era stata però contestata dall'avvocato difensore di Capella, Roberto Borgogno, in quanto, secondo il legale, l'”ingente quantità”, non viene definita precisamente dalla legislazione vaticana. Per quella italiana, ha fatto notare il difensore, si parla di ingente quantità a partire da 100 immagini (quelle riscontrate nei dispositivi di Capella oscillerebbero tra 40 e 55). Poi l'avvocato si è soffermato sul profilo psicologico del suo assistito: “Questi comportamenti – ha detto – non sono indice di pericolosità ma di un disagio: non si può sempre parlare di detenzione, ci sono terapie e percorsi riabilitativi che le autorità ecclesiastiche ben conoscono. C'è la possibilità di un cammino terapeutico”. Per questo la richiesta dell'avvocato è stata che “la pena sia contenuta nei minimi applicabili”.