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No ai domiciliari: Giovanni Brusca resta in carcere

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Resterà in carcere Giovanni Brusca, condannato per la strage di Capaci, dopo il pronunciamento della prima sezione penale della Cassazione che, al termine della camera di consiglio, si è così espressa sulla richiesta fatta pervenire dai legali del boss di Cosa nostra ai giudici sulla possibilità di ottenere la detenzione domiciliare, alla luce di un presunto ravvedimento. La decisione è arrivata in tarda serata, chiudendo un caso che aveva provocato parecchi dissensi nell'opinione pubblica. L'avvocato di Brusca, Antonella Cassandro, aveva fatto sapere che il suo assistito “non rifarebbe quello che ha fatto, ma indietro non si può tornare. Giovanni Brusca in questi anni è passato attraverso un cambiamento importante, un ravvedimento c’è stato, lo attesta anche la magistratura di sorveglianza oltre che la Procura nazionale antimafia. Non parlo di pentimento che è una categoria morale, ma di cambiamento sì”.

Maria Falcone: “Ha già avuto molti benefici”

I giudici della Cassazione, a ogni modo, non hanno ritenuto sufficientemente pieno il ravvedimento posto come motivazione per la detenzione domiciliare per Brusca (detenuto a Rebibbia), condannato oltre che per Capaci (fu l'uomo che azionò la detonazione sul tratto autostradale dove la vettura del magistrato transitò assieme alla sua scorta) anche per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Crimini ricordati anche da Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni e presidente della Fondazione che porta il nome di suo fratello: “Fermo restando l'assoluto rispetto per le decisioni che prenderà la Cassazione, voglio ricordare che i magistrati si sono già espressi negativamente due volte sulla richiesta di domiciliari presentata dai legali di Giovanni Brusca. Il tribunale di sorveglianza di Roma, solo ad aprile scorso, negandogli la scarcerazione, ha avanzato pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento”. E ancora: “Ricordo che Giovanni Brusca proprio grazie alla collaborazione con la giustizia ha potuto beneficiare di premialità importanti: oltre a evitare l'ergastolo per le decine di omicidi che ha commesso – tra questi cito solo quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido a 15 anni – ha usufruito di 80 permessi. Il suo passato criminale, l'efferatezza e la spietatezza delle sue condotte e il controverso percorso nel collaborare con la giustizia che ha avuto luci e ombre, come è stato sottolineato nel tempo da più autorità giudiziarie, lo rendono un personaggio ancora ambiguo e non meritevole di ulteriori benefici”.

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