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Mosul, 2.585 cadaveri civili a 6 mesi dalla riconquista

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Un bilancio drammatico, sebbene già preventivato. A Mosul, l’antica Ninive, si contano 2.585 cadaveri di civili che sono stati recuperati tra le macerie. L’ex “capitale” del sedicente Stato islamico, riconquistata sei mesi fa dalle milizie irachene, paga un alto scotto di vite umane. A comunicarlo è stato il generale Mohammad al Jiwari, direttore della Difesa civile della città, annunciando la fine delle manovre belliche. “Quello che rimane da fare – ha spiegato l’ufficiale – è il recupero dei cadaveri dei miliziani di Daesh, un compito che spetta alla municipalità di Mosul. Ma per quel che riguarda i civili, abbiamo concluso le operazioni, basandoci sulle informazioni delle famiglie”.

Le responsabilità

I combattimenti per la riconquista della città erano andati avanti dall’ottobre del 2016 al luglio del 2017. Fonti dell’Associated Press avevano stabilito che, in questo lasso di tempo, erano rimasti uccisi tra i 9mila e gli 11mila civili. In base alla stessa ricerca si era quantificato che la Coalizione internazionale capitanata dagli Stati Uniti era stata responsabile dell’uccisione di almeno 3.200 cittadini nel corso dei raid aerei e dei bombardamenti di artiglieria in supporto all’offensiva governativa; altrettante le vittime causate dalle violenze dell’Isis. Non è stato ancora chiarito, invece, di chi sia la responsabilità degli altri morti.

La resistenza dell'Isis

Intanto l’esercito iracheno e i gruppi militari a maggioranza sciita della Mobilitazione popolare (Hashid Shaabi) continuano le operazioni per eliminare le forze dell’Isis che ancora resistono in alcune aree rurali a nord, vicino a Kirkuk, e nell’est, nella provincia di Diyala. Ieri gli integralisti islamici – che secondo le autorità sono ancora pericolose – hanno effettuato un’incursione in un villaggio del distretto di Abbasi, vicino ad Hawija, a sud-ovest di Kirkuk. L’azione, secondo il portavoce della polizia provinciale della città, il colonnello Afrasiao Kamil, ha provocato l’uccisione di unna donna e dei suoi due figli. Inoltre ad Abbasi, un kamikaze dell’Isis con indosso un corpetto esplosivo si è fatto saltare in aria una volta accerchiato dalle forze di sicurezza.

Le elezioni politiche

Nonostante tutto, l’Iraq è un Paese che cerca di tornare gradualmente alla normalità, per quanto questa sia sicuramente difficile da raggiungere. A testimoniarlo è l’appuntamento del 12 maggio, giorno in cui si svolgeranno le elezioni politiche. Un panorama molto frammentato – almeno 30 le coalizioni che si affacciano al voto – rende però piuttosto difficile la creazione di un nuovo governo. La maggioranza sciita si è spaccata in tre grandi gruppi che hanno fondato altrettante liste: “Nassr” (vittoria), guidata dal primo ministro Haidar al Abadi; “Stato di Diritto”, del suo predecessore, Nuri al Maliki; “Al Fatih al Mubin” (Luminosa conquista) composta da ex comandanti delle milizie sciite, alcune strettamente legate all’Iran.

A completare lo schieramento sciita c’è anche il leader Muqtada al Sadr che parteciperà alle elezioni nelle file di una nuova alleanza, denominata Istiqama, di cui fa parte anche il Partito comunista. Tra i sunniti il maggiore raggruppamento è la Coalizione nazionale, guidata dall’ex premier laico Ayad Allawi. Infine, tra le principali liste nel campo curdo, il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e l’Unione patriottica del Kurdistan (Upk), che potrebbero formare un’alleanza dopo le elezioni.

Stefano Cicchini: