Già nove anni fa il Giappone aveva chiesto scusa ai coreani per gli “enormi danni e delle sofferenze causate negli anni della colonizzazione”. Ad agosto 2010 fu il primo ministro giapponese Naoto Kan a fare “mea culpa” a nome del proprio governo e dell’intera nazione per il periodo di occupazione della Corea iniziato cento anni fa e terminato con la resa del Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale. Al momento, però, dalle parti di Pyongyang la situazione dal punto di vista diplomatico è tutt'altro che tranquilla visto che, da Seul, arriva la notizia che il leader nordcoreano Kim Jong-un avrebbe fatto eseguire la pena capitale nei confronti dei delegati che lavorarono con i colleghi statunitensi alla preparazione del fallito vertice di Hanoi, quello che avrebbe dovuto sancire il consolidamento dei rapporti diplomatici fra Usa e Corea del Nord e che, invece, si era chiuso con un rischioso nulla di fatto. Finora, il sentore era che si trattasse esclusivamente di un rischio sul piano della diplomazia ma, secondo quanto riferito dal quotidiano sudcoreano “Chosun Ilbo”, lo staff guidato da Kim Yong-chol ne avrebbe fatto le spese lo scorso marzo, finendo in parte davanti al plotone di esecuzione. Nulla di certo al momento, se non la versione di Seul: nel mese di aprile, infatti, lo stesso Kim Yong-chol (che secondo Chosun Ilbo sarebbe finito in un campo di prigionia assieme all'interprete Shin Hye-yong) secondo fonti nordcoreane sarebbe stato inserito nella Commissione sugli Affari statali, non risultando però nella delegazione che aveva accompagnato Kim Jong-un nel suo incontro con Vladimir Putin.
Diplomazia con il Giappone
Intanto, il governo giapponese intende esplorare le possibilità di un incontro tra il premier Shinzo Abe e il leader nordcoreano Kim Jong Un a partire dalla prossima settimana, nel corso della conferenza sulla sicurezza dei Paesi dell'Asia nord orientale, in programma a Ulan Bator, in Mongolia, ha detto un funzionario dell'esecutivo all'agenzia Kyodo, confermando i piani di Abe di incontrare Kim “senza pre-condizioni”, una decisione che ha trovato i favori del presidente Usa Donald Trump, in visita a inizio settimana a Tokyo. Membri della diplomazia giapponese tenteranno di avviare un dialogo con la controparte nordcoreana a margine della conferenza del 5-6 giugno nella capitale mongola, un evento che è considerato un'occasione rara di avvicinamento, dal momento che i due Paesi non mantengono relazioni diplomatiche. Il Giappone ha in progetto di spedire l'incaricato dei ministero degli Esteri per l'Asia e l'Oceania, mentre per la Corea del Nord sarà presente il vice ministro degli Esteri. Tre settimana fa la Corea Nord ha sparato missili sul Mar del Giappone. Una raffica di “proiettili” dalla costa orientale, vicino alla città di Wonsan, che dopo aver volato tra i 70 e i 200 chilometri sono precipitati nel mare che separa la Corea del Nord dal Giappone, ma non nelle acque territoriali giapponesi. “Un circolo vizioso fatto di privazioni, corruzione e repressione”, è questa la realtà che milioni di nordcoreani si trovano ad affrontare ogni giorno, nel “regno eremita” di Kim Jong Un. A descrivere le condizioni di vita a nord del 38° parallelo è un rapporto delle Nazioni Unite, che accusa il regime di Pyongyang di una gestione dissennata dell'economia.
L’ultimo muro della guerra fredda
Il simbolico muro che creò le due Coree risale al 1945: la Seconda guerra mondiale era appena terminata e il Giappone (che dal 1910 aveva annesso la Corea) ne era uscito sconfitto. La Corea fu divisa in due aree di occupazione, russa e americana, all’altezza del 38° parallelo. Una commissione bilaterale avrebbe dovuto costituire un governo provvisorio per la riunificazione della penisola; governo che non si fece mai. Le elezioni si tennero nella sola Corea del Sud, sotto la supervisione dell’Onu: il 12 dicembre 1948, nel Sud, Syngman Rhee divenne presidente della Repubblica di Corea. Contemporaneamente al Nord sorse la Repubblica Democratica Popolare di Corea, retta da un governo comunista presieduto da Kim Il-sung. 74 anni dopo in corea del Nord la sopravvivenza quotidiana, documenta il rapporto delle Nazioni Unite, è resa ancora più difficile dalla continua richiesta di mazzette da parte dei funzionari di regime. Il rapporto, intitolato “Il prezzo è giusto”, è stato realizzato attraverso le interviste fatte a 214 persone che sono riuscite a disertare e mettersi in salvo oltreconfine, tra il 2017 e il 2018. Il collasso del sistema di distribuzione statale negli anni '90, sottolinea il documento, ha costretto circa tre quarti della popolazione a fare ricorso al mercato nero, perché le razioni quotidiane garantite dal regime non sono sufficienti a garantire un'alimentazione adeguata. “Se ci si limita a seguire le istruzioni del regime, si muore di fame”, ha raccontato uno dei disertori. Ed è grazie all'illegalità dei vari mercati 'paralleli' che fiorisce la corruzione, con i funzionari di stato pronti a “chiudere un occhio” in cambio di denaro. Quelli che possono permetterselo, ha raccontato un altro disertore, “riescono a farla franca su tutto, compreso l'omicidio”. Il rapporto dell'Onu critica anche la gestione economica del regime di Kim, salito al potere nel 2011 dopo la morte del padre.
L’autodifesa del dittatore
Pyongyang si difende puntando il dito contro le sanzioni, che avrebbero messo il Paese in ginocchio, e affermando che il rapporto ha una “motivazione politica” e lo “scopo sinistro” di danneggiare il regime. Eppure, sostiene l'Onu, le ristrettezze riguardano solo la popolazione civile, mentre l'apparato militare riceve risorse adeguate. Il Programma alimentare mondiale stima che siano 10,1 milioni i nordcoreani che soffrono di carenze alimentari, anche a causa del peggior raccolto dell'ultimo decennio, che ha lasciato i magazzini di stato privi di un milione di tonnellate di derrate alimentari. “Mi preoccupa che la costante attenzione alla questione nucleare distolga l'attenzione dal terribile stato dei diritti umani per milioni di nordcoreani”, ha detto l'alta commissaria Onu per i Diritti umani, Michelle Bachelet. “Il diritto al cibo, alla salute, alla casa, al lavoro, alla libertà di movimento e alla libertà in generale è universale e inalienabile, ma in Corea del Nord dipende soprattutto dalla capacità degli individui di corrompere i funzionari statali”, ha detto la commissaria Onu.
Il ruolo degli Stati Uniti
Intanto visita in Giappone di Donald Trump ha rafforzato l'alleanza fra Tokyo e Washington. E quando si aprono gli spinosi dossier Corea del Nord e Iran, il presidente degli Stati Uniti avalla la volontà del premier giapponese Shinzo Abe di agire “a fianco” degli Usa. Nella conferenza stampa congiunta, sul tema della Corea del Nord, Abe ha detto di voler incontrare vis-à-vis il presidente Kim Jong-un, “senza porre alcuna precondizione e scambiando franche vedute con lui”: “il presidente Trump”, ha aggiunto, ha “detto che darà il pieno appoggio necessario”. Poi Trump ha sminuito i nuovi lanci di missili balistici da parte di Pyongyang, prendendo una posizione diversa da quella di Tokyo sul fatto che ci sia stata o meno una violazione delle risoluzioni Onu: “La mia gente pensa che possa esserci stata una violazione, io la vedo diversamente”. Quel “la mia gente” di Trump si riferisce al suo consigliere alla Sicurezza nazionale, John Bolton, che ha affermato la violazione sia avvenuta. Dichiarazioni cui Pyongyang ha risposto con un'infilata di insulti, definendo il “ falco”Bolton “guerrafondaio” ed “errore umano”. Poco prima, riferisce LaPresse, Trump aveva parlato di “grande rispetto” tra Usa e Corea del Nord, annunciando che “molte cose belle accadranno”. Per il Giappone i lanci missilistici dalla penisola coreana sono una minaccia e l'alleanza degli Usa è strategica.