I legali della famiglia di Chiara Poggi, la giovane uccisa a Garlasco nel 2007, hanno depositato oggi alla Procura di Pavia gli atti relativi al processo a carico di Alberto Stasi, sottolineando “la totale infondatezza di qualsivoglia ipotesi volta a prospettare delle responsabilità di terzi nell’omicidio, il cui unico autore (Alberto Stasi, ndr) è già stato condannato da una sentenza irrevocabile emessa in nome del popolo italiano”. Nell’ambito della nuova inchiesta aperta sul delitto risulta infatti indagato Andrea Sempio, un amico del fratello della vittima.
Gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, in una nota si sono detti “dispiaciuti per il coinvolgimento di una persona risultata del tutto estranea all’accaduto e sconcertati dinanzi alle notizie di stampa secondo le quali si dovrebbe dar credito a valutazioni scientifiche effettuate da un consulente di parte (ben lontane dall’essere una perizia) all’insaputa dell’interessato e senza alcuna garanzia per il medesimo, mentre non avrebbero invece valore le accurate analisi genetiche effettuate nel processo a carico di Stasi dal professor De Stefano con la partecipazione dei consulenti di tutte le parti ed il rispetto di tutti i protocolli e le garanzie di legge”.
Proprio sulla base dell’accurato accertamento che era stato effettuato in contraddittorio – hanno proseguito i legali -, la Corte di Cassazione ha dato atto che sulla base dell’esame del dna prelevato sotto le unghie di Chiara “non era possibile fare alcuna considerazione in tema di identità o di esclusione, come più volte riconosciuto dagli stessi difensori dell’imputato”. Secondo gli avvocati, “la condanna irrevocabile di Stasi non è certo dipesa da valutazioni inerenti il citato dna, bensì da sette diversi elementi di prova che risultano integrarsi perfettamente come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi, oltre ogni ragionevole dubbio”. I legali della famiglia Poggi concludono precisando che “l’attuale Procuratore Generale di Milano non risulta aver giudicato ‘fondata’ la richiesta di revisione avanzata dalla madre del condannato, richiesta in relazione alla quale dovrà semmai pronunciarsi la competente autorità giudiziaria di Brescia“.