Non era ancora entrata, l'acqua alta, nel novero dei disastri meteorologici che stanno colpendo l'Italia, ormai nel pieno della stagione autunnale. Perché di disastro si tratta, come i vertici istituzionali di Venezia e della Regione Veneto continuano a ribadire. Mai così alto il livello dell'acqua da cinquant'anni a questa parte (centimetro più, centimetro meno, prendendo in considerazione il periodo storico in cui le misurazioni sono state effettuate), gravi danni alla Basilica di San Marco (annunciati ancor prima che l'acqua scendesse quel tanto che bastava per capirlo), alle abitazioni e a tutto quello che la laguna è riuscita a invadere, sospinta da un'intensa soffiata di scirocco. Uno spettacolo terrificante, di una Serenissima sommersa che, quando le acque saranno defluite dai marmi della Piazza, dovrà necessariamente procedere alla conta dei danni. Già stimati, solo a una prima occhiata, in centinaia di milioni di euro: “Con l'autunno l'Italia è sempre interessata dal maltempo – ha spiegato a In Terris il professor Massimiliano Fazzini, docente di Fisica dell’atmosfera, climatologia e meteorologia operativa all'Università di Camerino -, inteso ovviamente in senso lato, vista la complessità del territorio. Al fenomeno dell'acqua alta si tende ad attribuire poca importanza ma è un evento che risente di forti complessità che è necessario osservare, portato da un'energia termica e da un suo reiterato surplus nei mari che, quando raggiunge livelli troppo alti, può provocare disastri”.
Laguna e Mose
Al netto dei livelli di guardia abbondantemente superati dalle recenti maree, la concatenazione di fenomeni naturali porta alla creazione di un dibattito sull'eccezionalità o meno di tali eventi, in un contesto di forte mutazione a livello climatico. Va da sé che “con il cambiamento del clima in atto i valori tendono ad alzarsi, spostando sempre di più il livello dell'emergenza reale. Nel caso dell'acqua alta, ad esempio, la laguna veneta, così com'è strutturata, ha fornito indicazioni abbastanza difformi anche nell'arco di pochi metri: nello stesso momento in cui gli strumenti – che in laguna sono molti – segnavano il picco massimo di 187 cm, altri ne indicavano circa 160, anche solo a poco più di trenta metri di distanza”. Anche in questo si inserisce la questione prevenzione che, a Venezia, ha il nome di Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico), il sistema di dighe ancora in fase di costruzione che, teoricamente, dovrebbe contenere le ondate di marea isolando la laguna attraverso un sistema di chiusura e deflusso: “All'epoca della sua concezione – ha spiegato il professor Fazzini – il Mose appariva come un progetto avveniristico e ormai da quattro anni sarebbe dovuto essere operativo. Il punto è che, secondo i rilevamenti effettuati più di recente, tale sistema di dighe non sarebbe il migliore per un fondale come quello della laguna veneta, molto complesso da un punto di vista ingegneristico e per il quale sarebbe probabilmente servito un modello come quello olandese”. Un problema strutturale, alla base stessa del progetto, che espone tuttora Venezia alle maree: “A eventi di questa portata la città non può e non riesce ad adattarsi e il rischio è per questo destinato a crescere. E' importante trovare una soluzione, e soprattutto farlo presto”. Non sarà nulla di immediato comunque: l'emergenza resta a Venezia, così come il livello d'allerta per un'ondata di marea che ancora sembra voler mettere alla prova la resistenza della Serenissima.
Maltempo e territorio
Piene, argini vulnerabili, voragini improvvise (ma nemmeno tanto), smottamenti, frane… Ben più di un bollettino meteo, se si pensa all'allarme pressoché continuo vissuto dal nostro Paese ogni volta che le perturbazioni riportano sui cieli italiani le classiche ondate di maltempo stagionale. Non che “classiche” sia forse il termine più indicato, se si considera che, elemento dato per assodato dai ricercatori a livello mondiale, il clima terrestre ha conosciuto un cambiamento profondo, che porta gli eventi atmosferici ad assumere contorni decisamente differenti rispetto a qualche anno fa. Va da sé che in un contesto simile l'Italia non sia l'unico Paese a fare i conti con i nuovi fenomeni e le nuove conseguenze: “E' un problema comune anche ad altri Stati – ha spiegato a In Terris Gabriele Ponzoni, segretario generale della Federazione europea dei geologi -, perché chi più chi meno, con variazioni che dipendono principalmente dalle conformazioni del territorio, tutti stiamo affrontando il medesimo periodo di cambiamento”. In sostanza, se Nord e Sud di casa nostra si trovano faccia a faccia con gli effetti potenzialmente devastanti del maltempo, farebbe bene a non sentirsi una pecora nera del contesto europeo. Detto questo, il ciclico ritorno di fenomeni di forte intensità e, soprattutto, il manifestarsi cronico di problematiche importanti, in piccoli centri come in grandi città, impone una panoramica necessaria sulla tenuta di un territorio che, dati alla mano, sembra far sempre più fatica a fronteggiare il meteo e i suoi corollari.
Uomo e paesaggio
La pietra angolare del problema è anche in un certo senso la più logica: la combinazione decisiva fra intervento artificiale e morfologia del territorio, aspetto estremamente rilevante ma del quale si è tenuto conto solo a fasi alterne nel corso dello sviluppo umano e non solo da un punto di vista urbanistico. In sostanza, è importante “saper gestire il territorio, saper dire di no ma senza stigmatizzare necessriamente piano industriale, perché ci sono esempi di attività che hanno mantenuto un equilibrio col proprio territorio, ad esempio nel nord Europa”. Il punto è che per far sì che il suolo regga, o che sia capace di far fronte ad eventi atmosferici anche più intensi del previsto, è necessario limitare azioni invadenti: “L'eccessiva impermeabilizzazione ha fatto sì che anno dopo anno avessimo un aumento delle superifici impermeabilizzate. E' un processo che porta a una conseguenza semplice ma potenzialmente disastrosa: tutta l'acqua che non viene assorbita scorre in superficie e, per questo, tende ad avere un'energia, anche distruttiva. E' tutto collegato nei sistemi naturali, quindi in base a come si agisce, si creano conseguenze in altre porzioni di territorio”.
Questione idrogeologica
Un fenomeno che non esenta le grandi città, Roma in primis, vittima però anche dell'opposto e cronico problema delle voragini. Nulla di improvviso né di insospettabile: “La città, fin dall'antichità, ha sviluppato una capillare ed efficente rete viaria per rispondere a esigenze civili e militari. Ora, paradossalmente, siamo in una situazione peggiore rispetto a duemila anni fa: non si tratta di buche improvvise ma di situazioni celate, perché il manto stradale, asfaltato, nasconde un elemento di debolezza che si può innescare per vari motivi”. Il fenomeno primario, ha spiegato il dott. Ponzoni, “è sempre l'acqua: sifonamento dovuto ad acque in pressione a causa di perdite, oppure intombamenti mal riusciti… Non sono fenomeni naturali ma, a meno che non si tratti di argini, che si innescano dopo una lunga preparazione. Le improvvisi voragini che si aprono nel terreno, a volte sono dovute anche a perdite della parte organica, quindi gas”. Una serie di variabili che rende pericolosamente instabile il nostro territorio, che spesso paga lo scotto della sua varietà paesaggistica. Anche e soprattutto per questo, ha concluso, “bisognerebbe attenzionare maggiormente i vari interventi, per far fronte al naturale processo del deterioramento”.