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Castelnuovo, la chiusura dell'integrazione che funziona

Campania, Basilicata, Emlia-Romagna, Toscana: sono solo alcune delle Regioni d'Italia alle quali saranno destinati entro sabato 320 dei 500 migranti finora stabilmente inseriti nel Cara di Castelnuovo di Porto, nei pressi della Capitale. Una notizia improvvisa, un plico arrivato dalla Prefettura venerdì scorso, in cui si annunciava l'avvio, il 22 gennaio seguente, del trasferimento degli accolti in non meglio definite strutture al di fuori del Lazio. In altre Regioni, sì, ma senza specificare dove. Indicazioni vaghe come, peraltro, quelle riguardanti i 110 operatori del centro, rimasti senza lavoro. Tutto in fretta, tutto troppo veloce anche se non così tanto da non rendersi conto di quanto stesse accadendo: “La chiusura dell'integrazione che funziona”, come l'ha definita a In Terris Roberto Rotondo, giornalista e ufficio stampa di Auxilium.

La frustrazione

“Perfettamente bilanciati tra rifugiati e richiedenti asilo”, famiglie e giovani, uomini e donne di ogni età: per anni al Cara di Castelnuovo hanno trovato posto persone diverse ma ognuna inserita in un programma d'integrazione fra i migliori a livello italiano, coadiuvato da operatori qualificati in ogni settore dell'educazione e dell'assistenza. Gli accolti non avranno più la loro base a partire dalla quale avevano costruito la loro nuova esistenza; gli altri si troveranno senza lavoro: “C'è frustrazione fra chi parte e chi vede concludersi un'esperienza positiva, durata anni: c'è aria di sconforto perché le persone che risiedevano qui avevano, in molti casi, una vita integrata nella società, alcuni possedevano contratti di lavoro, molti bambini sono iscritti a scuola, dalle elementari alle superiori. Dei giovani – ha detto ancora Rotondo – hanno anche ottenuto il Premio per la cittadinanza attiva, avendo svolto un lavoro che ha permesso l'apertura del Museo di arti e mestieri… Sì, forse la struttura in sé non aveva un aspetto piacevole ma i servizi al suo interno funzionavano a tutti i livelli, dalla prima assistenza all'arrivo fino all'istituzione di un percorso d'integrazione. Sì, funzionava”.

Partire da soli

Nel corso degli anni, il Cara di Castelnuovo ha incontrato l'apprezzamento di chiunque avesse avuto modo di visitarlo, non tanto per quel che riguarda il luogo o gli ambienti, quanto per la dedizione degli operatori e la qualità del servizio offerto. Anche Papa Francesco, tre anni fa, vi celebrò la messa In Coena Domini, lavando i piedi ai migranti: “Fu un momento storico: quel giorno gli accolti erano quasi 900”. Integrazione appunto, quella concreta: “A chi è stato trasferito non è stato comunicato nemmeno un indirizzo. Lascerà il Lazio senza sapere dove ma, soprattutto, perché. Cosa che del resto non sappiamo nemmeno noi. Alcune famiglie sono state interamente trasferite e, in alcuni casi, i bambini non hanno nemmeno avuto il tempo di salutare i propri compagni di scuola. Altre persone hanno deciso di non attendere e sono andati via per conto loro”. Il primo pullman avrebbe dovuto portar via 30 persone, sui sedili ce n'erano 21: “Gli altri erano già partiti, decisi ad andare per la loro strada. Forse cercheranno di raggiungere altri Paesi ma, con l'inverno in corso, non sarà facile. Quello che erano riusciti a costruire qui è stato improvvisamente tolto”. Ora, il passo successivo sarà tentare una mediazione per far sì che coloro ancora in sede possano quantomeno trovare una collocazione nel Lazio. Si comincerà il 24 gennaio, manifestando davanti al Ministero del Lavoro, dove si chiederà conto del futuro degli accolti ma anche di coloro che hanno fatto accoglienza.

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