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Cassazione. Inviare foto hard su Whatsapp costituisce reato

Gli ermellini ritengono giusto l’arresto disposto dal Tribunale del Riesame di Milano.

La Terza Sezione Penale della Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di un 32enne indagato per avere inviato messaggi e foto esplicite su Whatsapp a una ragazza minorenne, spingendola a fare altrettanto sotto la minaccia di divulgare in pubblico le chat. La difesa nel ricorso eccepiva che: “in assenza di incontri con la persona offesa o di induzione a pratiche sessuali” di fatto sarebbe difettato “l’atto sessuale”.

La Suprema Corte, invece, ha ritenuto “solida e ben motivata” la decisione del Riesame, secondo cui: la “violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale”. Gli ermellini hanno aggiunto, inoltre, che i “gravi indizi di colpevolezza” del reato erano facilmente ravvisabili “nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico la chat”.

La custodia in carcere

Il Tribunale del Riesame di Milano aveva confermato la custodia in carcere disposta dal GIP per l’indagato, e la difesa, quindi, si era rivolta alla Cassazione sostenendo che, in assenza dell’atto sessuale, non fosse contestabile il reato di violenza sessuale. Gli avvocati della difesa sostenevano che fosse da escludere anche il “child grooming”, ovvero l’adescamento di un minore via web attraverso una sorta di circonvenzione per vincere resistenze psicologiche.
La Cassazione, invece, ha ritenuto giusta anche la custodia in carcere dell’indagato, al momento ai domiciliari, in quanto risulta essere recidivo, avendo adottato stessi atteggiamenti con altre minori “dimostrando di non sapere controllare le proprie pulsioni” e perché “lavorando all’estero non sarebbe rientrato per consegnarsi alle forze dell’ ordine”.

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