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Bimba morta di malaria, aperte 2 inchieste. Lorenzin: “Forse contratta in ospedale”

La Procura di Brescia e quella di Trento hanno aperto due inchieste dopo il caso di malaria cerebrale che ha provocato la morte della piccola Sofia, 4 anni, giunta sabato scorso in condizioni disperate nell’ospedale del capoluogo trentino e deceduta nel giro di 48 ore. Il caso è diventato un vero e proprio giallo, visto che la bimba non aveva mai compiuto viaggi all’estero e quindi non può aver contratto la malattia nelle zone del pianeta considerate a rischio.

Niente allarmismi

E nonostante siano anni che in Italia non si registrino casi di malaria autoctona (l’ultimo risale al 1997), la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, invita alla calma. “Dalle prime indicazioni che abbiamo avuto pare che la bambina potrebbe aver contratto la malaria in ospedale, a Trento, il motivo per il quale sarebbe un caso molto grave. Abbiamo mandato immediatamente degli esperti sia per quanto riguarda la malattia sia per la trasmissione da parte delle zanzare“.

Contagio in ospedale

In effetti, secondo quanto riferito dal direttore generale dell’Apss (Azienda provinciale dei servizi sanitari del Trentino), Paolo Bordon, Sofia era stata in precedenza ricoverata per un esordio di diabete infantile mentre in una stanza vicina erano presenti “due bambini con la malaria, poi guariti”. Le cure, ha tuttavia precisato, “sono state effettuate tutte con materiale monouso e non ci sono state trasfusioni. La malaria non è trasmissibile da uomo a uomo e nessun altro paziente ha avuto dei sintomi riconducibili alla malaria”.Il periodo di latenza “potrebbe fare pensare che l’avesse contratta prima, poi, certo, la presenza di due bambini malati qui fa insospettire. Il punto è che dovrebbe esserci stata qualche zanzara anofele, magari in dei bagagli. I nostri veterinari, interpellati, dicono che un’altra zanzara, nostrana, non può farsi vettore, anche se ha punto malati”.

Le 4 ipotesi

Per il vicepresidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), Massimo Galli, la bimba potrebbe aver contratto la malattia in 4 modi. Se il contagio è avvenuto in ospedale, come ventilato dal ministero, le modalità sono circoscritte: “L’infezione potrebbe essere trasmessa in ambiente ospedaliero – spiega l’infettivologo – solo attraverso l’utilizzo di siringhe ed altri strumenti contaminati o attraverso trasfusioni di sangue infetto. In una simile ipotesi di contagio diretto, i tempi di incubazione della malattia potrebbero anche risultare accorciati”. Un’ipotesi “grave”, commenta, che “richiede ovviamente indagini approfondite come quelle in atto”.

Ma ci sono altri due modi in cui il contagio della malaria può avvenire: attraverso la punture di zanzare vettori della malattia “importate” da Paesi dove la malattia è endemica o attraverso la puntura di zanzare autoctone che, avendo precedentemente punto soggetti infettati, hanno poi contagiato soggetti terzi. Nel primo caso, chiarisce, “le zanzare vettore possono essere state introdotte in Italia da viaggiatori di ritorno, ad esempio nei bagagli”. Quanto alle zanzare autoctone, “in Italia – afferma Galli – ci sono almeno due specie di zanzara anofele in grado di trasmettere la malaria dopo aver punto ed assorbito sangue di un soggetto già infetto. Si tratta della anofele superpictus, più diffusa nel sud Italia, e della anofele maculipennis. In genere sono più diffuse nelle aree pianeggianti e costiere”.

Ad ogni modo, precisa, “va detto che le probabilità che zanzare autoctone possano infettarsi e trasmettere la malattia è molto bassa, anche perché la popolazione di zanzare anofele nel nostro paese si è molto ridotta nel corso degli anni”. Infatti, dagli anni ’60 i casi di infezioni di malaria autoctoni “sono molto pochi e si tratta di circostanze eccezionali“. Diverso è il caso dei viaggiatori che non fanno la profilassi necessaria e contraggono la malattia: “Sono ancora troppi gli italiani che partono per destinazioni a rischio sottovalutando i pericoli e che dunque non fanno la profilassi antimalarica, che consiste nella somministrazione di una compressa per tutto il periodo del soggiorno ed un periodo successivo. Ma vari – conclude – sono anche i casi registrati in persone che si recano in Africa e Asia per visitare le famiglie e, dato il periodo ridotto, non adottano alcuna profilassi“.

 

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