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Il dovere di non dimenticare le vittime di mafia. Da Impastato a Borsellino la Via Crucis della legalità

Il significato delle undici pietre d'inciampo poste lungo il viale principale della città universitaria della Sapienza. Ognuna dedicata a donne e uomini che hanno lottato contro le mafie

Il dovere di ricordare sempre le vittime della lotta alla mafia. Ieri si è celebrato il 29° anniversario della strage di via d’Amelio. Interris.it propone di commemorare i martiri della legalità a partire da un luogo-simbolo. L’Università La Sapienza di Roma, l’ateneo più grande d’Europa con oltre 113 mila studenti. Qui si trovano le undici pietre d’inciampo. Poste lungo il viale principale della città universitaria della Sapienza. Per ricordare donne e uomini, vittime di mafia in tutto il nostro Paese. I nomi ai quali sono intitolate le targhe sono quelli di Giuseppe Impastato. Rita Atria. Giancarlo Siani. Lia Pipitone. Rosario Angelo Livatino. Lea Garofalo. Peppino Diana. Renata Fonte. Bruno Caccia. Gelsomina Verde. Giovanni Falcone. Paolo Borsellino. Una “Spoon river” della coscienza civile nazionale. Una Via Crucis della legalità testimoniata a costo della vita. mafia

Contro la mafia

”Abbiamo voluto tracciare questi cento passi con pietre di inciampo. Ognuna dedicata a donne e uomini che hanno lottato contro le mafie. Per sottolineare il valore della memoria e delle testimonianze”, spiega la rettrice della Sapienza, Antonella Polimeni. E aggiunge: “Il fatto che questo progetto sia stato portato avanti dalle studentesse e dagli studenti è di particolare rilievo. La formazione alla legalità deve essere un tema da sviluppare nel percorso scolastico. Perché i giovani in primis devono essere portatori di questi ideali’‘. Le figure ricordate nelle targhe sono emerse dai sondaggi lanciati sulle pagine Facebook e Instagram di alcune associazioni studentesche. Nell’ambito del percorso ”Cento passi verso la Legalità”. In adesione al bando della Fondazione Giovanni Falcone “Le università per la legalità”.Mafia

Impegno civile

Si tratta di donne e uomini impegnati contro la mafia. Come giornalisti, magistrati, forze dell’ordine e politici. Ma anche cittadini comuni uccisi in quanto testimoni di giustizia. O per il loro impegno civile e simboli della lotta alle mafie come Giuseppe Impastato. Giornalista, attivista politico, ucciso a 30 anni (Cinisi 5 gennaio 1948, Cinisi, 9 maggio 1978). Insieme a Rita Atria, è tra i pochi casi di persone appartenenti a famiglie mafiose siciliane che ne prendono pubblicamente le distanze. E denunciano. Una “colpa” da lavare con il sangue secondo i clan.

mafia
Sergio Mattarella, Giancarlo Siani

Il codice del disonore

E’ il codice del disonore su cui si fonda la visione distorta che è alla base della criminalità organizzata. Sono le regole mafiose che impongono agli altri di accettare le “leggi” della malavita nel silenzio complice dell’omertà. Rita Atria, testimone di giustizia, 17 anni. Ha lasciato scritto: “Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno. Uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito”. Si uccise una settimana dopo la strage di via D’Amelio. Perché, proprio per la fiducia che riponeva nel magistrato Paolo Borsellino, si era decisa a collaborare con gli inquirenti (Partanna, 4 settembre 1974 – Roma, 26 luglio 1992). Tra coloro che hanno pagato con la vita il loro eroico anelito alla verità c’è Giancarlo Siani, 26 anni, giornalista, assassinato dalla camorra. (Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985).Corruzione

Regole di Cosa Nostra

Rosalia “Lia” Pipitone, 25 anni, fu uccisa con il consenso del padre Antonino Pipitone, capomafia della famiglia Acquasanta di Palermo. Per aver intrattenuto una presunta relazione extraconiugale. Violando in questo modo l’onore della sua famiglia, secondo le regole Cosa Nostra (Palermo, 16 Agosto 1958 – Palermo, 23 Settembre 1983). Rosario Angelo Livatino, 38 anni, magistrato, assassinato dalla stidda. È venerato come beato e martire dalla Chiesa cattolica. La stidda è un’organizzazione criminale di tipo mafioso, che opera in prevalenza in Sicilia. In particolare nelle province di Agrigento. Caltanissetta. Catania. E Ragusa. (Canicattì, 3 ottobre 1952- Agrigento, 21 settembre 1990).

Mafia
Don Beppe Diana

Testimoni di verità

E ancora: Lea Garofalo, 35 anni, testimone di giustizia. Vittima della ‘ndrangheta. Dal 2002 decise di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco (Petilia Policastro, 24 aprile 1974- Milano, 24 novembre 2009). Don Giuseppe “Peppe” Diana, 35 anni, presbitero. Insegnante. Attivista per la legalità. E scout. Assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia speso prevalentemente tra i giovanissimi nella roccaforte dei casalesi. (Casal di Principe, 4 luglio 1958- Casal di Principe, 19 marzo 1994). Renata Fonte (Nardò, 10 marzo 1951- Nardò, 31 marzo 1984), esponente politico. Prima donna nel 1982 ad assumere la carica di assessora alla cultura e alla pubblica istruzione. Vittima di mafia per aver denunciato la speculazione edilizia che stava interessando l’area di Porto Selvaggio.

La “colpa”

Nella lista dei martiri anti-mafia compaiono anche Bruno Caccia, 66 anni. Magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta. Mentre ricopriva l’incarico di procuratore capo della Repubblica a Torino (Cuneo, 16 novembre 1917- Torino, 26 giugno 1983). Gelsomina Verde, 22 anni, torturata e uccisa dalla camorra. Dopo le sevizie il corpo venne dato alle fiamme all’interno della sua auto. Estranea agli ambienti criminali lavorava come operaia in una fabbrica di pelletteria. E nel tempo libero si occupava di volontariato. La sua “colpa” era quella di essere stata legata sentimentalmente per un breve periodo, molti mesi prima di essere uccisa, con Gennaro Notturno. Che faceva parte del cosiddetto clan degli scissionisti di Secondigliano (Napoli, 5 dicembre 1982- Napoli, 21 novembre 2004). La “Spoon river” della Sapienza culmina in Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Magistrati, assassinati dalla mafia nel maggio e nel luglio del 1992 (Palermo, 18 maggio 1939- Palermo, 23 maggio 1992) (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992). Dopo il loro tragico martirio San Giovanni Paolo lanciò l’anatema contro la mafia. II 9 maggio 1993 nella Valle dei Templi di Agrigento: “Dio ha detto non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio”.

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