Il 45° anniversario dell’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa ci invita a riflettere sul contributo della Santa Sede nell’ambito della Conferenza di Helsinki e, più in generale, sulla missione della Chiesa per una convivenza pacifica tra le Nazioni. Con l’appello di Budapest, del 17 marzo 1969, i Paesi membri del Patto di Varsavia si rivolsero agli Stati europei, agli USA e al Canada, invitandoli ad una Conferenza paneuropea sui temi della sicurezza e della cooperazione. Il 31 marzo 1969, il medesimo invito giunse in Vaticano. Oltre al fatto che la Città del Vaticano entrava nel novero degli Stati europei e con l’auspicio che la Santa Sede avrebbe avuto un influsso indiretto sui Paesi occidentali di tradizione cristiana, possiamo considerare tale coinvolgimento della Santa Sede nell’iniziativa come un riconoscimento del prestigio morale della Chiesa sul piano politico internazionale. L’impegno in favore della convivenza pacifica tra le Nazioni e del bene comune, sempre da una posizione super partes, insieme con l’attività diplomatica discreta e riservata, al di fuori e al di sopra del confronto fra gli Stati, hanno reso la Santa Sede un apprezzato interlocutore per il processo di Helsinki. L’invito, espresso da parte dei Paesi membri del Patto di Varsavia, è da considerare, inoltre, frutto del “martirio della pazienza”, della cosiddetta Ostpolitik vaticana, che esprimeva un «sano realismo, per tentare di ottenere il possibile nelle diverse, quasi sempre difficili, situazioni presentatesi con i regimi comunisti, offrendo tuttavia massima disponibilità, per dimostrare che la Santa Sede era sempre pronta al dialogo e al negoziato»[1]. Infatti, la «politica del dialogo avviato dal Vaticano agli occhi dei Paesi socialisti forniva un’immagine della Santa Sede affidabile»[2]. Nel rappresentare la Santa Sede alla Conferenza di Helsinki, il Cardinale Achille Silvestrini fu un interprete sapiente ed efficace del ruolo che la Chiesa assunse con la Ostpolitik vaticana e la applicò nel nuovo foro bilaterale d’incrocio tra il blocco di Stati occidentali e quello orientale. A giudizio del Porporato, la Conferenza di Helsinki «ha rappresentato un’esperienza unica nel suo valore. Era la prima volta, dopo il Congresso di Vienna del 1815, che la Santa Sede partecipava come full member in un Congresso di Stati»[3]. E soprattutto, «la presenza della S. Sede ad Helsinki ha rappresentato un segno concreto della concezione della pace tra le Nazioni come valore morale prima ancora che come questione politica, e una occasione per rivendicare la libertà religiosa come una delle libertà fondamentali di ogni persona e come valore di correlazione nei rapporti fra i popoli»[4]. Visto che la preoccupazione principale ai tempi della Conferenza di Helsinki era quella di superare il sentimento di insicurezza e di sfiducia creato dal periodo della guerra fredda,[5] si è costituito un terreno fertile per una visione della sicurezza che andasse oltre un patto di non aggressione, e per il riconoscimento della necessità di un concetto più ampio della pace, capace di contribuire ad una vera cooperazione tra gli Stati. La Santa Sede non ha mancato di offrire la sua visione integrale della pace, che «non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia»[6]. Quando Paolo VI, nel Suo discorso del 22 giugno 1973, spiegò al Collegio Cardinalizio le intenzioni che hanno «indotto la Sede Apostolica […] ad accogliere positivamente l’invito a prender parte alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa […] [rilevò che] la partecipazione della Santa Sede […] vuol esprimere incoraggiamento all’ardua impresa e sottolineare l’importanza preminente dei fattori morali e di diritto fra le condizioni che possono assicurarne la felice riuscita»[7]. Durante i lavori della Conferenza, la Santa Sede ha ribadito che una vera sicurezza e cooperazione tra le Nazioni richiedono un fondamento morale e principi etici riconosciuti e condivisi da tutti, sottolineando la stretta interdipendenza tra la pace, la sicurezza e il rispetto dei diritti umani e ricordando, peraltro, che la libertà di coscienza e di religione sta alla base delle altre libertà e costituisce un diritto fondamentale. Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza del fatto che, nell’Atto finale di Helsinki, figura come VII principio – la cui formulazione richiese quasi un anno di discussioni – il «rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo». Nello stesso principio, al 5° paragrafo, si afferma che «gli Stati partecipanti riconoscono il significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione fra loro, come fra tutti gli Stati». Vorrei concludere questa riflessione con le parole che il Cardinale Agostino Casaroli indirizzò ai Capi di Stato e di Governo degli Stati partecipanti dell’OSCE, a Parigi, nel 1990: «La Santa Sede è tanto più felice di manifestare la sua adesione ai principi e agli impegni dell’Atto Finale di Helsinki e della Carta che noi firmeremo, in quanto riconosce in questi un’eco del messaggio evangelico con i suoi valori morali e di alta spiritualità che hanno forgiato l’anima dell’Europa e delle regioni ove essa ha portato la sua antica cultura»[8]. Lo storico processo di Helsinki, nonché le sfide attuali in Europa, confermano l’importanza della voce della Chiesa, che, con la sua visione integrale dell’uomo e della pace, contribuisce all’impegno politico in favore di una convivenza pacifica tra le Nazioni, possibile «solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani»[9], come non si stanca mai di ricordare Papa Francesco.
[1] G. Barberini, La Santa Sede e la Conferenza di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione in Europa, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 37 (2014), p. 3.
[2] Ivi, p. 7.
[3] A. Silvestrini, Prefazione, in G. Barberini, Pagine di storia contemporanea: la Santa Sede alla Conferenza di Helsinki, Siena 2010, p. V-VI.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. A. Casaroli, Discorso in occasione del Vertice dei Capi di Stato e di Governo degli Stati partecipanti dell’OSCE, Parigi 1990.
[6] Gaudium et Spes, 78.
[7] Papa Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio, 22 giungo 1973.
[8] A. Casaroli, Discorso in occasione del Vertice dei Capi di Stato e di Governo degli Stati partecipanti dell’OSCE, Parigi 1990.
[9] Papa Francesco, Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki – Giappone, 24 novembre 2019.