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Il virus che divide la scienza: due pareri a confronto

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Contagi in aumento, discoteche chiuse e ripetuti appelli a rispettare le norme di prevenzione del contagio. Un’estate trascorsa all’insegna dell’incertezza, quella del 2020. Una pandemia in atto che ha richiesto di declinare il nostro stile di vita a una convivenza con il coronavirus che, nei mesi sorsi, ha portato a numeri vertiginosi, fra contagiati e vittime, praticamente in ogni area del mondo. La flessione dovuta al lockdown ha consentito una parziale ripresa della normalità ma, a distanza di poco più di due mesi, la nuova escalation di contagi impone una riflessione: qual è, a oggi, il reale andamento della pandemia? C’è visione concorde nel mondo scientifico? Cercando di far luce su un tema che, nel corso dei mesi, ha fatto emergere posizioni diverse (e in alcune occasioni opposte), offrendo possibilità di opinioni difformi, Interris.it ha chiesto il parere di due infettivologi, fra i più noti del mondo scientifico italiano.

L’analisi di Roberto Cauda

Il professor Roberto Cauda, infettivologo di fama e direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Gemelli, traccia il quadro della recrudescenza del coronavirus in Italia. Un’analisi che include una panoramica sull’escalation di contagi ma anche su quali misure saranno necessarie per uscire dalla pandemia. Un percorso che passa dall’adozione e dal rispetto assoluto delle norme anti-contagio, in attesa del vaccino.

Professore, negli ultimi giorni si è assistito a una nuova preoccupante crescita nei contagi da Covid-19. Da un punto di vista sanitario, come vanno letti i nuovi dati in aumento?
“E’ una recrudescenza del virus. Tutti noi aspettavamo la cosiddetta seconda ondata in autunno, anche se parlare di seconde e terze ondate è una questione di tipo semantico. Io ritengo, in linea con quello che detto qualche settimana fa l’Organizzazione mondiale della Sanità, che in realtà l’ondata è unica. Questa malattia non ha una stagionalità, nel senso che non è diminuita o scomparsa con l’estate, come altre malattie tipo l’influenza. Io credo che si sconti in questo momento la presenza di determinate situazioni, visto che colpisce perlopiù i giovani, di disattenzione nel mancato rispetto della prevenzione, che hanno favorito la crescita dei contagiati. Del resto, l’età media più bassa dei contagiati ci dice come la fascia di popolazione più colpita è quella dei giovani. Senza entrare nel dettaglio, poiché questo è un virus che si trasmette facilmente per via aerea, quindi le occasioni possono essere molteplici, soprattutto laddove non si rispettino le norme di prevenzione, come distanziamento di sicurezza, uso delle mascherine, lavaggio delle mani, evitare gli assembramenti. Pur essendo i numeri simili a qualche mese fa, il numero dei soggetti in terapia intensiva, il numero dei morti e delle persone ricoverate è molto più basso. Questo è dovuto al fatto che nei soggetti più giovani la malattia decorre in forma perlopiù asintomatica o con sintomi non gravi. Però vorrei porre l’attenzione su un aspetto…”

Prego…
“Non è che il virus colpisce solo i giovani e non persone di una certa età, che magari hanno prestato più attenzione alle norme di sicurezza. E’ inevitabile nelle famiglie, o nei rapporti stretti, laddove uno si sente più sicuro, che un virus possa colpire soggetti più anziani o fragili, in cui la malattia decorre in forma più grave. I numeri sono il frutto di quello che è avvenuto quindici giorni fa. Fino alla fine del mese non aspetterei di vedere riduzioni. Sappiamo che per tempi di incubazione, mediamente cinque giorni ma anche 10-12, ritardo nell’esecuzione del tampone, quello che vediamo oggi è quello che è accaduto 10-15 giorni fa. Qualche effetto dell’attenzione maggiore nei confronti di determinate situazioni, lo vedremo fra qualche settimana”.

Qualora la recrudescenza del virus proseguisse nella sua escalation, potrebbero esserci i presupposti per un nuovo lockdown?
“Una nuova chiusura è stata esclusa più volte dal ministro e da importanti rappresentanti delle istituzioni sia politiche che sanitarie. Ritengo che se il lockdown sia stato sicuramente motivato dalla realtà di allora, non credo che ora siamo a quel livello. Non ho alcun tipo di responsabilità ma, dall’esterno, anche alla luce di tutte le dichiarazioni quotidiane dagli organi e delle istituzioni del massimo livello, tenderei a escluderlo. Anche perché non avrebbe la stessa rilevanza di qualche mese fa. E’ chiaro che, a fronte di una non chiusura che non troverebbe giustificazione, c’è necessità che i nuovi focolai – oltre mille attivi – vengano affrontati con le tre ‘T’, test, tracciamento e trattamento. Il sistema ha retto nonostante l’andamento crescente dei casi. Ma non si può escludere che se questi casi dovessero crescere di molto, potrebbe esserci una sofferenza nel sistema… E’ importante che l’informazione, in questo momento, sia obiettivo. Dire esattamente le cose come stanno senza allarmismi ma senza nemmeno troppa faciloneria. L’aumento c’è ed è ahimè consistente. Siamo in una situazione diversa da fine giugno-luglio. C’è una responsabilità anche dei singoli. Così come tali comportamenti sono stati motore della ripresa, ora devono coadiuvare le autorità sanitarie in modo da spegnere questo incendio”.

Nei mesi della pandemia, così come nella fase del dopo-lockdown, il ruolo dei media ha giocato una parte importante come raccordo fra sanità e opinione pubblica. Ritiene sia stato d’aiuto o ci si è trovati di fronte a un’eccessiva mediaticità?
“C’è il diritto della cittadinanza a essere informata. E l’informazione avviene attraverso i mezzi audiovisivi, internet e la carta stampata. Io ho vissuto altre epidemie nella mia vita professionale e devo dire che mai come in questa occasione ho visto una forte alleanza fra chi faceva informazione e chi doveva gestire la malattia dal punto di vista scientifico e assistenziale. Credo, per quel che mi riguarda, che sia stata fatta un’informazione corretta. Alcune cose sono state dette e poi contraddette ma, come detto da Dario Altiseri, la scienza impara anche attraverso il dibattito. Ci troviamo davanti a una malattia nuova. Il 31 dicembre nessuno sapeva nulla di questa malattia. Poi abbiamo avuto un’escalation di notizie, abbiamo preso coscienza di quanto fosse coinvolgente a livello epidemiologico, siamo stati investiti direttamente a febbraio, abbiamo imparato molte cose e rapidamente. Queste cose che venivano trasmesse dall’informazione in senso lato, hanno riflettuto una conoscenza che si andava via via ottenendo”.

Su quali aspetti in particolare?
“Il ruolo degli asintomatici. Inizialmente non era così chiaro trasmettesse infezione come i sintomatici. Ognuno di noi aveva in testa, visto che questo virus è per l’80% simile alla Sars 1, quella del 2003, non si pensava potessero avere un ruolo così rilevante. Ci sono state una serie di informazioni, come ad esempio l’uso delle mascherine, che si sono via via definite meglio. L’informazione ha fatto da cassa di risonanza in senso positivo a quella che è stata la conoscenza, che è andata velocissima. Il 9 gennaio si è capito che virus era, ora stiamo parlando di 5 vaccini fra quelli più avanti nella sperimentazione. C’è stato un grande sforzo della scienza per una malattia non banale, perché parliamo di quasi un milione di morti e oltre 22 milioni di contagiati. Una vera pandemia ma con dei dati che ci permettono di saperne molto di più oggi rispetto al giorno del cosiddetto ‘paziente uno’ di Codogno”.

E’ possibile indicare come e quando si potrà uscire dalla pandemia? Sarà necessaria l’applicazione del vaccino?
“Mi rifaccio alle pandemie del passato, quelle influenzali come la Spagnola, molto diversa da quella di oggi. Dalle pandemie si esce quando si viene a creare un’immunità di gregge, ovvero quando il numero di contagiati è talmente alto che il virus smette di circolare. Ma questo richiede un numero di anni. Per la Spagnola furono due, forse tre. Ora non possiamo permetterci di aspettare così tanto. La seconda possibilità è che il virus vada incontro a una mutazione autodistruttiva. E’ di questi giorni la pubblicazione da parte di un gruppo di Singapore in cui c’è la delezione 382 del genoma del virus che lo renderebbe molto meno grave o darebbe una forma asintomatica. Ma non sappiamo se questa mutazione avrà seguito e quale sarà. In linea teorica, le mutazioni possono essere sia in senso peggiorativo, con virus più aggressivo e letale. Dalla mutazione avvenuta rispetto al virus cinese, quello che circola ora, si è visto che il virus è stato reso più contagioso ma non più grave la malattia. Quindi un’eventualità sarebbe la delezione o una mutazione che rende il virus più inefficace. La terza strada, quella su cui credo dobbiamo realisticamente puntare, è il vaccino. Se c’è un vaccino che consente di produrre anticorpi neutralizzanti ad alto titolo, duratori, che riducano gli effetti collaterali, si potrebbe raggiungere un’immunità di gregge non con l’infezione ma grazie alla vaccinazione. Nell’attesa, bisogna mitigare gli effetti del virus cercando di applicare le famose regole di lavaggio delle mani, mascherina, distanziamento, evitare gli assembramenti. E qualora ci siano nuovi focolai, identificarli e spegnerli”.

L’analisi di Giulio Tarro

Primario emerito dell’Azienda Ospedaliera “D. Cotugno”, allievo di Albert Bruce Sabin (virologo che sviluppò il più diffuso vaccino anti-poliomelite) noto per il suo impegno scientifico durante l’epidemia del “male oscuro” di Napoli negli anni ’70, il professor Giulio Tarro esterna il suo punto di vista sull’andamento della curva epidemiologica e sui più recenti provvedimenti adottati dal governo italiano.

Professor Tarro, a che punto è la pandemia, specie alla luce della recrudescenza degli ultimi giorni?
“Penso che ci siano prima dei problemi da risolvere sulla verità di quanto si dice. Un paio di giorni fa era stata fatta circolare una lettera dell’ospedale Cotugno di Napoli ed era un fake. Ha portato a dire che non c’era più posto in terapia intensiva e ora, dopo aver appurato che era un falso, c’è un’inchiesta in corso avviata dal direttore sanitario. O la notizia di alcuni presunti giovani molto gravi, di cui però non si è trovata presenza in nessuna terapia intensiva. Quando ci sono queste grandi inesattezze, i numeri non li vado ad approfondire personalmente. Poi aggiungiamo a questo che la maggior parte sono asintomatici, quindi non contagiosi. Come diceva l’Oms, solo il 16% poteva essere contagioso con la carica virale al massimo. A questo punto andrei cauto su questa situazione attuale”.

Quindi gli asintomatici non costituirebbero un rilevante veicolo di contagio?
“E’ stato identificato un ceppo mutato e, quindi, la carica virale è meno contagiosa. In ogni caso, come ha detto Maria Van Kerkhove, la responsabile dell’Istituto scientifico dell’Oms, soltanto raramente gli asintomatici sono contagianti. I tamponi poi sono in forte aumento rispetto a prima, quindi c’è un numero di soggetti che possono essere positivi ma non è detto che siano malati”.

Ci si aspettava che l’estate influisse in maniera diversa sull’andamento del contagio… Cosa c’è da aspettarsi con l’arrivo dell’autunno e delle influenze?
“C’è da dire che l’Oms ha parlato, a metà agosto, che ogni nazione ha la sua curva epidemiologica. Ha iniziato la Cina, poi l’Italia, il Brasile, gli Stati Uniti, l’India, i Paesi equatoriali… Ci sono condizioni sia meteorologiche che stagionali diverse, e anche di questo va tenuto conto. I numeri sono importanti: i bollettini di marzo davano un numero di soggetti positivi ma a fronte di pochi tamponi. Se ho dieci volte il numero di tamponi di allora e ho questo attuale numero, il significato è diverso”.

Come valuta la misura adottata della chiusura delle discoteche? Ritiene possibile un nuovo lockdown?
“L’approccio è stato diverso tra i vari Paesi, anche secondo la cultura e, non ultimo, anche aspetti politici. La chiusura non ha significato ora, rifarla significherebbe far morire di fame le persone”.

Sarà necessario il vaccino per uscire dalla pandemia?
“Anche il tema vaccino è ipotetico. Sono cominciate le sperimentazioni dello Spallanzani ma è un vaccino che non ha nemmeno i tempi necessari dell’approvazione dell’Oms per quel che riguarda le prove cliniche da fare. Si ottiene con il vaccino quello che si ottiene con il soggetto guarito, cioè gli anticorpi che servono a 35 mila soggetti sanitari negli Stati Uniti per fare una profilassi”.

L’impatto del coronavirus ha costretto anche i media a giocare un ruolo importante: cosa dire agli italiani? C’è ancora bisogno di preoccuparsi?
“Secondo me più che preoccuparsene bisogna occuparsene. La prima cosa che consiglio è non seguire i bollettini dei grandi network. Io sono un virologo specializzato in malattie nervose e mentali, e prima di andare a fare la mia esperienza di cinque anni negli Stati Uniti, negli ultimi sei mesi, sono stato medico di guardia notturno in neurochirurgia, perciò so con cosa ho a che fare”.

Damiano Mattana: