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Violenza sessuale nei conflitti: la guerra che colpisce donne e bambini

Paola Maceroni di ActionAid ha spiegato ad Interris.it come durante i conflitti le donne e i bambini sono oggetto di stupri da parte di militari e ribelli

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha fissato per il 19 giugno la Giornata internazionale per l’Eliminazione della Violenza Sessuale nei Conflitti. Anche se per molti è un problema sconosciuto, si tratta di un crimine brutale i cui i bersagli preferiti sono le donne e i bambini. Queste violenze sono una minaccia alla pace e rappresentano una grave violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

Interris.it ha intervistato Paola Maceroni, responsabile sostenitori di ActionAid che ha spiegato in quali contesti avvengono queste violenze sessuali e le conseguenze che provocano sull’intera comunità.

L’intervista 

Durante un conflitto come si colloca la violenza sessuale?

“Il tema della violenza sulle donne è molto ampio perché sappiamo che una donna su tre nella sua vita ha subito violenza. Se poi ci focalizziamo sulle crisi umanitarie, che possono essere catastrofi naturali o conflitti, questo dato aumenta in maniera esponenziale. Durante sopratutto la prima fase di un conflitto lo stupro è la più comune forma di violenza perché viene usato per indebolire e terrorizzare il nemico. Si tratta dunque di una vera e propria arma che serve anche per controllare l’intera popolazione colpita”.

Perché le donne e i bambini sono i bersagli preferiti?

“La motivazione è molto semplice e sta bel fatto che durante i conflitti le donne e i bambini diventano più vulnerabili perché nella maggior parte dei casi si trovano soli senza la figura maschile. Inoltre, capita che perdano la casa e che diventino sfollati per cui privi di sicurezza e di stabilità. Queste condizioni li rende agli occhi dei stupratori le categorie più facili da colpire”

Chi sono gli artefici di queste violenze?

“La storia racconta che la maggior parte degli stupri avviene per mano di militari e di ribelli. Tra i tanti conflitti possiamo ricordare il genocidio del Ruanda che registra tra le 250 mila e 500 mila donne violentate. Se procediamo negli anni invece possiamo fare riferimento al conflitto in atto nella Repubblica democratica del Congo, in cui nel 2021 le Nazione Unite hanno parlato di 4.600 casi di violazione dei diritti femminili”.

Come avvengono queste violenze?

“Solitamente si verificano in momenti della quotidianità. Capita molto spesso che le donne vengano violentate durante gli spostamenti e completamente alla luce del sole, davanti al resto del nucleo familiare. Questo crea dei traumi indelebili e difficili da superare sopratutto nei bambini”.

Queste violenze hanno un’incidenza sulle malattie sessualmente trasmissibili?

“Certamente sì, ma è difficile fare una diagnosi precoce in quanto nella maggior parte dei casi durante i conflitti l’assistenza sanitaria subisce un arresto. Questa situazione crea nella donne un’ulteriore condizione di fragilità e di sbandamento perché non possono sapere se hanno contratto o meno una malattia che, dato anche il contesto igenico-sanitario fragile, in alcuni casi può portare alla morte”.

Esiste il problema delle gravidanze post violenza?

“In questi anni di attività abbiamo conosciuto molte donne che hanno dato alla luce bambini nati da eventi traumatici di questo tipo. Come ogni maternità scaturita da una violenza non è facile vivere serenamente il dono della vita. Per questo noi cerchiamo di supportare queste donne dal punto di vista psicologico e ci adoperiamo per aiutarle ad amare ugualmente il figlio in quanto è la via per rivedere la luce ”.

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