Mantenere viva la memoria non è un mero esercizio di coscienza. Entrare nella Storia attraverso la conoscenza è già di per sé un modo per rendere più semplice il compito di essere testimoni. Anche di eventi non vissuti ma, semplicemente, “ereditati” dalla memoria di chi ci ha preceduto. La strage di Via D’Amelio, nella quale morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, è un evento recente. E, forse per questo, il compito morale, etico e di cittadinanza di tenere viva la luce del cuore della Nazione sui fatti di Palermo potrebbe apparire più semplice. Eppure, niente va dato per scontato. Nemmeno quella memoria che, in apparenza, ci sembra doverosa. Perché il pericolo di essere null’altro che conoscitori nozionistici dei fatti piuttosto che reali testimoni, è vivo tanto quanto il dovere della nostra coscienza sociale. Per questo, occorre confrontarsi con le nuove generazioni. Far sentire loro che il sacrificio di Borsellino, Falcone, di chi li proteggeva e di chi, come loro, ha pagato con la vita lo scotto di fronteggiare la mafia in ogni sua forma, è stato tale anche per garantire la sopravvivenza del loro futuro.
Un cero per Borsellino
A Termini Imerese, da diciannove anni, si lavora in questo senso. Un’iniziativa “dal basso”, fatta e pensata per i cittadini, punta a tenere viva la fiamma della memoria ma, al tempo stesso, anche quella della speranza. Perché se è vero che la mafia può essere combattuta, è altrettanto vero che il contrasto a ogni forma di prevaricazione, costrizione e sopraffazione sociale inizia dai gesti quotidiani. Dall’aver ben presente che il confine tra legalità e criminalità è ben marcato ma labile, sottile, attraversabile anche senza piena consapevolezza. Il silenzio rispetto ad azioni di prepotenza e soggiogamento è il primo passo nella direzione sbagliata. Un concetto che, oggi più che mai, va trasmesso a un mondo giovanile chiamato a discernere tra un’infinità di modelli di vita (o presunti tali), riscoprendo in primis il valore della condivisione della memoria civile. In primis nell’ambito scolastico: “L’obiettivo della nostra iniziativa – ha raccontato a Interris.it Fabio Lo Bono, giornalista e promotore di ‘Accendi un cero a Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta’ – è tenere viva la memoria nei ragazzi anche perché, a distanza di trentadue anni, non riusciamo ad avere né verità né giustizia”.
La ricerca della verità
È stata ampia la letteratura sulla strage di Via D’Amelio, già dai momenti successivi alla detonazione dei quintali di tritolo che resero quello scorcio della rete urbana palermitana un luogo di devastazione. Eppure, nonostante gli anni trascorsi e le vicende giudiziarie iniziate già nell’immediato per dar forma reale alla verità, sembra che quei resti non abbiano ancora smesso di fumare. Un fumo denso, alimentato dalle troppe ombre che ancora attorniano la vicenda: “C’è un groviglio che non riesce a mostrare quella verità per la quale ci battiamo ogni giorno. È chiaro che la famiglia del giudice si senta tradita, abbandonata dallo Stato che non riesce a dare soluzione a una vicenda che da tre decenni interpella l’Italia“. Da qui, la necessità di rendere le nuove generazioni portatrici non solo della memoria storica ma anche della richiesta di verità e giustizia: “La missione nelle scuole è quella di tenere viva la memoria delle giovani generazioni. Se questa non viene alimentata, anche quella tragedia rischia di perdere di valenza. Da 19 anni tengo questa manifestazione non per la commemorazione in sé, né per dar luogo a frasi fatte. Piuttosto, a messaggi diretti”.
Gli occhi di chi ha visto
Tra le testimonianze che si susseguiranno all’evento di Termini Imerese, quella di Francesco Mongiovì, già componente della scorta di Giovanni Falcone e della Catturandi, che proprio il 19 luglio festeggia il suo compleanno. “Francesco, quel 19 luglio 1992, stava passando da via D’Amelio quando accadde la strage. Fu uno dei primi a vivere quei drammatici momenti. Porterà quindi una doppia testimonianza, una delle quali legata alla sua attività sul campo. Mongiovì faceva parte della squadra che ha garantito tutela a Giovanni Falcone e ha vissuto sulla sua pelle quel difficile periodo, facendo parte della Quarto Savona 15 e vedendo morire molti colleghi”. Non solo: “Arriverà una testimonianza scritta anche da Cesare Rattoballi, padre confessore di Paolo Borsellino, che lo ha seguito nei suoi ultimi drammatici 57 giorni. Lui fu uno dei primi a sapere che il tritolo per Borsellino era arrivato a Palermo. Era stato lui a chiedergli perché non andasse via dalla Sicilia. La frase ‘Rimango perché mi hanno ammazzato un amico’, è stata detta a lui. E fu sempre lui a vederlo per l’ultima volta, dopo aver fissato un nuovo incontro per il successivo lunedì. Don Cesare, inoltre, si recò, poco dopo la strage, in via D’Amelio”.
La memoria viva
L’idea è quindi di “mantenere la memoria viva e chiedere verità e giustizia. Siamo al fianco della famiglia Borsellino in tutte le circostanze. I giovani e le scuole sono il primo luogo per dare testimonianza e rinnovare in loro la memoria e la richiesta di verità e giustizia. Quando sono i bambini a chiedere la verità, tutto cambia aspetto“. Un ampio spazio sarà dedicato anche alle donne vittime dell’attentato mafioso. Emanuela Loi ma anche Rita Atria, la cui morte, avvenuta la settimana successiva, “fu una conseguenza della strage. Paolo Borsellino era l’uomo che lei aveva indicato come padre putativo, punto di riferimento, colui che gli permetteva di avere nuove prospettive di vita”. Del resto, ascoltare la voce di chi ha visto, vissuto, raccontato e partecipato emotivamente quei drammatici giorni, è più efficace di qualsiasi istruzione accademica. Che, pure, riveste un ruolo fondamentale per far sì che i ragazzi approccino a questi temi nel modo giusto: “Sono assolutamente partecipi ed è importantissimo il lavoro preparatorio fatto dagli insegnanti. Non è solo l’incontro con noi ma anche tutto questo che dà la cifra del lavoro di memoria. I ragazzi sono preparati, ci fanno delle domande. Ma poi, parlando con chi ha vissuto la paura in quelle macchine blindate, nella consapevolezza di essere dei bersagli, tutto assume un’altra prospettiva”.
Combattere senza tacere
L’obiettivo, in sostanza, resta quello di trasmettere un messaggio di legalità e speranza insieme. Senza cercare eroi ma formando coscienze affinché la lotta alla mafia si svolga nella vita di ogni giorno, attraverso gesti semplici: “I ragazzi devono fare le cose giuste nel quotidiano – ha concluso Lo Bono, autore tra l’altro del libro ‘Paolo Borsellino – I giorni della paura e del coraggio’, versione a fumetti degli ultimi giorni del giudice -. Segnalare agli insegnanti la presenza di atti di bullismo, ad esempio… Tutto il fenomeno del malaffare si combatte in queste piccole cose. Non bisogna essere eroi ma compiere quei gesti quotidiani che permettono di alimentare la legalità e combattere le ingiustizie senza tacere”.