Categories: copertina

Utero artificiale, la bioeticista Bovassi: “Scardina tutti i principi della famiglia”

Logo Interris - Utero artificiale, la bioeticista Bovassi: "Scardina tutti i principi della famiglia"

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Utero artificiale, la bioeticista Bovassi: "Scardina tutti i principi della famiglia"

L’inizio dell’esame in Commissione giustizia delle due proposte di legge, presentate da Mara Carfagna e Giorgia Meloni, per rendere l’utero in affitto reato universale, ha riacceso il dibattito sulla barbara pratica della maternità surrogata. In realtà la gestazione per altri (Gpa) in Italia è già vietata dalla legge 40 del 2004 (normativa difesa anche dalla Cei in occasione del referendum abrogativo tenutosi sempre nel 2004) ma di fatto restano impuntiti coloro che usufruiscono di questo servizio in altri paesi del mondo e che una volta tornati in patria intraprendono battaglie legali per farsi riconoscere come genitori del minore.

L’azione di sensibilizzazione condotta da movimenti cattolici e da una frangia del femminismo internazionale ha portato ad una marcia indietro di alcune Nazioni in cui l’utero in affitto era consentito perché legale o perché completamente deregolamentato. Nell’estate del 2019 la camera bassa indiana ha approvato il provvedimento che vieta in tutto il Paese la surrogata a fini commerciali. La legge autorizza la maternità surrogata solo nel caso di scelta altruistica, tra persone della stessa famiglia, e solo per le coppie di indiani sposate da almeno 5 anni che non abbiano altri figli viventi.

Sta dunque avvenendo una presa di coscienza collettiva in molti settori della società. La stessa Corte Costituzionale nel 2017 ha riconosciuto la Gpa come qualcosa che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, attribuendogli un “elevato grado di disvalore”.

Di fronte a questo afflato contrario alla mercificazione dei corpi e delle relazioni umane si staglia però una nuova minaccia derivante dai progressi della scienza e della tecnologia, ovvero l’utero artificiale. La pratica è chiamata ectogenesi e permette di far crescere un bambino fuori dall’utero materno. Queste sacche che ricreano l’ambiente uterino sono state sperimentate in Olanda, Cina e negli Stati Uniti, facendo sopravvivere degli agnelli in gestazione per quattro settimane.

Secondo i sostenitori di queste tecniche pionieristiche, in questo modo i feti prematuri saranno portati fino alla nascita e saranno aiutate le donne con patologie all’utero. Ovviamente queste stesse fonti tralasciano qualsiasi considerazione di natura etica sulla completa sostituzione della funzione materna, sulla disintegrazione del legame tra il feto e la madre gestante, sulla disumanizzazione della gravidanza e sulle possibili speculazioni commerciali che hanno come oggetto la vita del nascituro.

Non servono grandi competenze nel capo della medicina e dell’antropologia per prendere atto di queste pericolosissime derive, basta il buon senso; tuttavia le implicazioni etiche sono di una portata così vasta che merita raccogliere le considerazioni espresse dagli esperti di bioetica. La bioeticista Giulia Bovassi, ricercatrice presso la cattedra Unesco di bioetica e diritti umani, ha spiegato ad In Terris che l’utero artificiale è “il compimento più distopico della secolarizzazione, perché si rifà a tutti quei principi che scardinano la figura della famiglia, sia dal punto di vista unitivo, sia procreativo legato alla sessualità e alla procreazione”. “Viene spezzato anche il rapporto tra generazioni – prosegue – questo è causa di un altro sradicamento, quello dell’identità personale. La persona viene depotenziata da ogni aspetto che la determina sia dal punto di biografico sia dal punto di vista biologico, basta pensare che il figlio che viene commissionato con l’ectogenesi esce dalla logica del dono per entrare nel paradigma dell’oggetto di compravendita e di pretesa”.

In pratica la persona essendo commissionata deve rispondere a tutta una serie di caratteristiche e parametri. Bovassi ricorda quindi che già per i figli dell’eterologa oggi si pone il problema dell’identità ma maggior ragione il figlio creato con l’ectogenesi troverà la ragione del proprio essere al mondo come qualcosa di delegato al completo artificio.

La ricercatrice smonta anche la narrazione della necessità terapeutica: “Si cerca di attingere ai fondi, come Horizon 2020 dell’Ue, con questo escamotage, ovvero la finalità di aiutare i bambini prematuri, ma bisogna distinguere quando una tecnologia può essere di utilità e quando c’è un’ambivalenza che la espone ad un rischio enorme, cioè di diventare non cooperatore della generazione ma vero e proprio co-creatore. La persona arriverebbe ad essere frutto di un artefatto”.

Tutto questo nella crescita del bambino ha ripercussioni enormi, i figli dell’eterologa chiedono spiegazioni dei loro legami famigliari. Bovassi riferisce poi che all’interno del dibattito sull’utero artificiale ci sono esperti che propongono di ricreare gli stimoli materni con suoni ed altre esperienze che simulano il legame materno.

Non meno problematica la questione delle riflessioni sulla figura femminile: “Alcune femministe credono di svincolare la donna dalla riproduzione ma è chiaro che la figura della madre viene completamente calpestata da una forma di mercato. La donna perde il primato sulla vita e di essere culla della sopravvivenza per il genere umano”.

Gli scenari descritti sono trans e post-umanisti, afferma in conclusione la bioeticista, “che hanno il presupposto della loro nascita nella negazione dell’identità umana legata alla sua totalità, fatta di una dimensione spirituale, psichica e corporea. Il corpo viene ridotto ad un insieme di parti su cui agire e su cui si pensa che non ci sia alcuna ricaduta”.

Marco Guerra: