La tragedia della guerra si carica di ulteriore dramma quando ci si ricorda che riguarda anche i minori. I bambini sono le più piccole, più vulnerabili, più indifese vittime di un conflitto armato. Vittime non solo perché, purtroppo, perdono la vita se raggiunti da un colpo di un’arma, ma perché la perdita della loro casa o di una loro figura di riferimento può rappresentare una ferita che ne segna lo sviluppo psicofisico. Nella sola Kharkiv, nel nord dell’Ucraina, si sono contati 100 bambini tra le duemila vittime civili, secondo quanto riferito dal presidente del consiglio regionale Serhiy Chernov. “Il solo pensiero che, in sole 24 ore, 100 bambini abbiano perso la vita a Kharkiv in Ucraina, a causa di questa violenza insensata, ci riempie di dolore e fa indignare profondamente. Erano bambini che andavano a scuola, amavano giocare, leggere, avere dei sogni, immaginare cosa avrebbero fatto da grandi. Ma le loro vite sono state spezzate“, ha detto a commento Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia. Proprio i bambini, che a livello internazionale sono tutelati e protetti dalla Convenzione dei Diritti del Fanciullo, che impone ai i paesi che l’hanno ratificata, compresi la Russia e l’Ucraina, di salvaguardare la salute e l’incolumità dei minori. Dalle Risoluzioni 1261 e 1314 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottate nel 1999 e 2000, che impongono alle parti in conflitto di rispettare le norme di diritto internazionale relative alla protezione dei bambini e delle bambine coinvolti nei conflitti armati, e anche dalla Risoluzione 1612 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che, il 22 aprile 2005, ha deciso la creazione di un meccanismo di monitoraggio e di informazione su sei tipologie di violazioni di diritti dell’infanzia. Nel Paese dell’est Europa sono attualmente a rischio 7,5 milioni di bambini, avvisa Save the Children, l’organizzazione non governativa umanitaria che da quasi 103 anni è impegnata nel cercare di garantire il rispetto dei diritti e un futuro alle bambine e ai bambini di tutto il mondo, presente nella regione orientale dell’Ucraina già da otto anni. Piccoli che si trovano a scappare di casa all’improvviso, al rumore delle sirene antiaeree che annunciano i bombardamenti, e riparare, impauriti, in rifugi spesso bui e poco riscaldati. Bambini che non possono andare a scuola né giocare con i loro coetanei. Giovanissimi che devono essere curati per qualche ferita o che devono interrompere un trattamento medico a causa della guerra. Una normalità mandata in pezzi, che forse un domani – anche con il giusto aiuto e supporto – sapranno ricostruire, ma che ora non è più la loro vita quotidiana. Nel mentre, la crisi umanitaria colpisce duramente alle porte dell’Europa, con oltre un milione e duecentomila persone giù fuggite dalla guerra. L’Unione europea ha varato, all’unanimità, la direttiva per le protezione temporanea dei profughi dall’Ucraina. Save the Children è al lavoro in Romania con migranti e richiedenti asilo in cinque centri di accoglienza e inoltre sta conducendo una valutazione dei bisogni in quattro campi profughi nel nord-est del paese della penisola balcanica, preparandosi a distribuire beni essenziali e ad allestire spazi sicuri dove i minori possano giocare, imparare e elaborare il trauma vissuto, affrontando il dolore per la perdita della loro quotidianità e spesso di persone care. Per capire meglio quale sia il dramma di trovarsi, per i bambini, in un contesto di conflitto armato, Interris.it ha intervistato Filippo Ungaro, direttore della Comunicazione di Save the Children Italia.
L’intervista
Cosa significa per un bambino trovarsi in un teatro di guerra, strappato alla sua normalità, ancora più preziosa da proteggere e delicata?
“In queste ore in Ucraina i bombardamenti si intensificano e i bambini sono costretti a rifugiarsi negli scantinati, con la paura di vedersi in trappola insieme alla paura delle bombe. La guerra è probabilmente il peggiore degli scenari per un bambino, perché corre il rischio di essere colpito e ferito dai proiettili, di riportare traumi psicologici, o ancora di perdere la vita. Così come rischia di assistere alla morte di un conoscente, magari di un suo coetaneo, di un proprio caro come un genitore. La guerra stravolge completamente la normalità di un bambino: l’abitazione non è più un luogo sicuro e può anche dover lasciare la sua casa, così come i genitori non possono più, in una situazione simile, garantire interamente la sua incolumità”.
Cosa prevedono le norme internazionali riguardo la tutela dei più piccoli durante una guerra?
“Pochi ricordano che anche in una situazione di conflitto, il diritto internazionale mira a proteggere i minori. I luoghi neutrali, come le case, le scuole e gli ospedali non dovrebbero essere mai colpiti, mentre sappiamo che in Ucraina delle scuole lo sono state. Inoltre i minori dovrebbero ricevere assistenza umanitaria anche in situazioni di conflitto, ma molto spesso le parti restringono l’accesso umanitario e la fame è utilizzata come ‘arma di guerra’. Il diritto umanitario dà una piena tutela a tutti, ma purtroppo si assiste a ripetute violazioni, come l’arruolamento, lo sfruttamento, gli attacchi a scuole e ospedali. Le Nazioni unite le documentano e negli ultimi anni si è registrata una crescita esponenziale di tali violazioni. Nel nostro ultimo nostro rapporto abbiamo rilevato che 452 milioni di bambini vivono in aree interessate da conflitti e guerre, con un aumento del 5% nel 2020 sul 2019. Questa in Ucraina non è una guerra ‘nuova’, perché nel Donbass si combatte da otto anni. Sono già state distrutte centinaia di scuole e tantissimi bambini sono nati in una situazione di conflitto”.
Qual è la casistica di ferite più ricorrenti tra i bambini e i minori, in un teatro di guerra?
“In tutte le zone di guerra, sono molto comuni le ferite alla testa. I bambini sotto i 7 anni hanno il doppio della probabilità, rispetto agli adulti, di riportare traumi cranici. Le mine antiuomo sono una delle principali cause uccisione e/o ferimento di bambini in un conflitto e in questi giorni abbiamo sentito parlare di bombe a grappolo proprio nelle aree civili. I più piccoli hanno esigenze mediche specifiche diverse dagli adulti, sono infatti particolarmente vulnerabili, sotto profilo medico-scientifico, hanno infatti il collo e il torace più delicati. Ci vuole una conoscenza medica specifica, ma nei contesti di guerra spesso mancano i macchinari, le risorse, magari anche i medici perché sono andati altrove o sono stati uccisi”.
C’è possibilità per gli ucraini di accedere ad assistenza umanitaria e ricovero?
“C’è da fare una distinzione tra quanto sta succedendo all’interno del Paese, ad esempio a Kharkiv l’assistenza umanitaria è stata sospesa per questioni di sicurezza, e ai confini. Noi siamo in Ucraina dal 2014, soprattutto nel Donbass, ma siamo andati anche dove ci era consentito operare in sicurezza. La popolazione ucraina, al momento, sta cercando di aiutarsi da sola, in una situazione estremamente critica. Chi si è riparato nei rifugi di fortuna sta vivendo una grande sofferenza, perché le risorse e i medicinali cominciano a scarseggiare. Gli sfollati interni si trovano ad affrontare un inverno duro e molti cercano di fuggire oltreconfine. Chi arriva in Polonia e Romania, e in misura minore anche in Moldavia, Slovacchia, Lituania, riceve assistenza e noi stessi ci siamo attrezzati per accogliere i profughi. I minori in questo momento stanno fuggendo insieme alle madri, non abbiamo stime certe ma la percentuale di minori non accompagnati attualmente sembra esigua. La cosa ‘ideale’ sarebbe una cercare tregua per far evacuare i civili”.
Negli otto anni di operatività di Save the Children, com’è cambiato il vostro intervento nel Paese?
“Abbiamo diverse sedi operative lungo i 427 chilometri di ‘linea di contatto’ nell’est dell’Ucraina e cerchiamo di portare e distribuire nel Paese i beni di prima necessità, al netto della sicurezza. Fino a poco fa si parlava di una guerra definitiva di ‘bassa intensità’, ma un conflitto resta un conflitto e i traumi non sono di bassa entità, basti pensare che in otto anni sono state distrutte 750 scuole. Adesso c’è stato un cambiamento di situazione che non consente una grande attività, ma stiamo intensificando i nostri sforzi ai confini di Polonia e Romania. Lì facciamo accoglienza e oltre ai beni diamo anche informazioni legali, come per la richiesta d’asilo”.