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Tutela della biodiversità: sono i giovani i nuovi maestri

Nella Giornata a tema, un'occasione di riflessione sull'azione dell'uomo per la salvaguardia del Pianeta. Anche su larga scala

Difficilmente, per problemi di interesse comune, esistono soluzioni universali. C’è bisogno di sondare, magari, diverse sfaccettature del medesimo argomento, di analizzare la problematica sotto diversi aspetti riuscendo, in questo modo, a individuarne i punti deboli. Per questo, quando si parla di cambiamenti climatici, è difficile ridurre l’azione di contrasto dell’uomo alla mera legislazione o alla semplice consapevolezza. Ciò che occorre è innanzitutto una presa di coscienza sugli effetti reali, a breve e lungo termine.

Ma, soprattutto, sul fatto che il contrasto alle rapide mutazioni climatiche dei nostri giorni non riguardano la sopravvivenza del Pianeta (che, come sempre nella sua storia, riuscirà a riadattarsi all’eredità degli eventi) ma quella del genere umano. Al quale, come essere senziente, spetta la salvaguardia di sé ma anche della biodiversità terrestre (la cui Giornata a tema ricade proprio il 22 maggio), ago della bilancia tra un presente fatto di maggior coscienza e un futuro funestato dai rigurgiti delle crisi del nostro tempo. Come spiegato a Interris.it da Lorenzo Ciccarese, esperto Ispra in tema di biodiversità, viviamo “una tripla emergenza ambientale”.

 

Dott. Ciccarese, gli eventi degli ultimi anni hanno mostrato un’aumentata consapevolezza sull’importanza della biodiversità e della sua tutela. Siamo sulla strada giusta?

“Gli studi più autorevoli dicono che, tra i giovani con meno di 25 anni, la sensibilità o la consapevolezza dell’importanza della biodiversità è circa doppia rispetto agli over 25. Questo significa che sta crescendo molto l’attenzione verso questo tema, come pure sulla necessità di arrestare il declino della natura, su scala globale e nazionale. Sono stati raggiunti importanti risultati sul piano della sostenibilità e del ripristino naturale ma la strada è ancora tanta”.

Abbiamo parlato di giovani: in realtà una spinta propulsiva è arrivata proprio da loro e non solo con i grandi scioperi per il clima…

“I giovani sono molto più attenti: i figli spesso ci spingono ad assumere comportamenti corretti, anche in ambito domestico. E a renderci conto che molti gesti, come il riciclo degli abiti, sono importanti. Del resto, tutte le attività economiche hanno un impatto sulla biodiversità: dall’agricoltura al turismo all’industria. E molte imprese hanno abbracciato l’idea di ridurre tali impatti. A seconda delle scelte che facciamo decidiamo del destino della natura. Molte imprese su scala mondiale sanno che sta cambiando la sensibilità e la consapevolezza da parte dei giovani e cercano di fare della conservazione della natura un vantaggio competitivo”.

Si può quindi insegnare a essere protettori della biodiversità. Da dove si parte?

“La strada fondamentale è far vedere la bellezza della biodiversità. Nella Giornata delle api, ad esempio, è circolata una foto meravigliosa di un’ape operaia completamente imbrattata di nettare e polline, che stava assolvendo quindi al proprio compito. Ho visto una similitudine con le immagini dei minatori che escono sporchi dalle miniere. Nondimeno, occorre spiegare il funzionamento di alcuni ecosistemi, così come la nostra reale capacità di ridurre gli impatti degli eventi estremi”.

La tutela della biodiversità passa anche da azioni legislative. In questo senso, l’Europa si è mossa ponendosi obiettivi da qui a un orizzonte prossimo, il 2030…

“Un rapporto IPBES ha mostrato che, per avere qualche possibilità di impedire che milioni di specie possono estinguersi in pochi decenni, ci sarebbe bisogno di realizzare il 50% di aree protette. Un obiettivo più realistico è arrivato con l’accordo raggiunto dall’Ue per le aree protette, ossia realizzarne il 30% il 2030. C’è poi la legge sul ripristino della natura, che punta a ripristinare entro il 2030 le aree degradate sul territorio dell’Unione europea. Questi non sono obiettivi per la natura ma anche per noi perché, qualora li raggiungessimo, potremo continuare a crescere e prosperare come in passato. Richiedono impegno e rinunce ma sono sforzi che vale la pena fare”.

Lo sviluppo sostenibile appare ancora poco pratico per le masse per via degli alti costi. Realisticamente, è possibile conciliare gli obiettivi con il piano economico?

“Non è facile trovare i fondi. Un primo passo potrebbe essere quello di ridurre i cosiddetti ‘sussidi pericolosi’. Spendiamo centinaia di miliardi di dollari per attività che portano danno alla natura. Possono essere contenuti con progettazione di infrastrutture realmente utili. Al momento si spendono circa 120-130 miliardi di dollari per salvaguardia della natura ma, secondo gli analisti, bisognerebbe arrivare almeno a 700-800 miliardi ogni anno per ottenere risultati. Uno studio del WEF dice che buona parte del Pil mondiale viene dalla biodiversità”.

Quanto incidono gli scenari geopolitici attuali?

“Prima del Covid e del conflitto russo-ucraino c’erano molte aspettative su questo accordo globale. Ma si è perso il momento giusto perché sono intervenute altre priorità: la sanità prima e la risoluzione dei conflitti poi. Ora si spendono ingenti quantità di denaro per gli armamenti e, chiaramente, per le ricostruzioni post-belliche. Vengono inevitabilmente meno i potenziali flussi di denaro per la stabilità climatica e la perdita della biodiversità. Una tripla crisi ambientale, con tre temi che si intrecciano tra loro”.

Alcuni contesti geografici rischiano quindi più di altri di perdere la loro biodiversità?

“Sulla zona di confine tra Russia, Bielorussia e Ucraina c’è un’area protetta grande più o meno come l’Italia che ora, invece di essere protetta, è in mano ai bracconieri. Quando vengono meno finanziamenti e controlli, tali aree diventano terre di conquista per queste pratiche illegali. Un altro problema viene, spesso, dal venir meno dei finanziamenti per i bioparchi, che hanno costi elevati”.

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