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Trump vs Harris, urne bollenti: “Ma non tutto è follia”

I cittadini statunitensi sono chiamati alle urne ma il futuro è un'incognita. Intervista a Gregory Alegi, docente presso il dipartimento di Scienze Politiche di Storia delle Americhe della Luiss

Anche se il gong elettorale suonerà a breve, non è detto che gli Stati Uniti indosseranno una veste nuova. La sfida tra Kamala Harris e Donald Trump si è consumata su terreni troppo scoscesi e troppo lontani dalla “intellighenzia” dell’elettorato americano per offrire realmente degli spunti sui quali ragionare a lungo termine. Mai come in questa campagna elettorale, i candidati hanno stuzzicato la pancia del Paese, travestendo gli screzi da temi e contenuti. Eppure, il mondo guarda con attenzione al “rumble in the jungle” politico dell’America. Perché in ballo non ci sono solo grandi temi, né grandi elettori dai quali ottenere consensi. Oltreoceano c’è chi combatte, chi chiede aiuto, chi sostegno economico e chi militare. Mentre, in casa, c’è chi preme per ottenere il futuro e chi sembra non riuscire a vederlo se non oltre un determinato confine. “I contorni della sfida politica sono fortemente ideologizzati – ha spiegato a Interris.it Gregory Alegi, docente presso il dipartimento di Scienze Politiche di Storia delle Americhe della Luiss – ma non tutto è follia”.

Professore, la campagna elettorale è ormai sul rettilineo finale. Si arriverà a dama o c’è margine per un ultimo colpo di coda?

“Per definizione, le sorprese sono sorprese. La mitica ‘October surprise’ non c’è stata ma non possiamo escludere qualche colpo di teatro dell’ultimo minuto. Quello che possiamo dire è che siamo in una situazione molto difficile da prevedere, in cui la polarizzazione è più forte che mai. Le letture fatte dagli analisti sono anche loro abbastanza prevedibili, scontate, ripetitive. È difficile anche misurare l’impatto dei fatti reali di questi ultimi giorni”.

A cosa si riferisce?

“Penso al blocco dell’endorsement con presa di posizione da parte di quotidiani come il Washington Post e il Los Angeles Times, imposto dai proprietari per paura di eventuali reazioni da parte di Trump. Mi riferisco al comizio del Madison Square Garden, paragonato da alcuni addirittura a un raduno neonazista. Quanto tutto questo possa effettivamente spostare i voti è una grande incognita. Per fare un esempio, il fatto che Trump abbia parlato in termini non lusinghieri dei portoricani è un dato di fatto. Tuttavia, questo sposterà il voto portoricano? O lo farà solo dove serve? Nello stato di New York o in Pennsylvania? Non essendo chiaro questo, non lo è nemmeno in che misura questo tutto questo possa influenzare l’elettore medio”.

Da qualche tempo, l’impressione è che i personaggi protagonisti abbiano più ascendente dei loro contenuti elettorali. È d’accordo?

“Noi abbiamo un’immagine degli americani come pragmatici rispetto agli europei, i quali sono invece più ideologici e filosofici. Agli USA si attribuisce una scuola di pensiero inglese, mentre il nostro è più un modello ‘aereo’. In realtà, sembra che queste elezioni siano fortemente ideologizzate. E questa è una scelta di campo che prescinde dai comportamenti reali, dall’una e dall’altra parte. Il programma è stato sostituito dalla dimensione identitaria. In questo senso, gli americani sembrano essersi molto europeizzati”.

Trump è davvero una figura ancora in grado di influenzare politicamente gli sviluppi a livello internazionale, oppure una sua eventuale rielezione riserverebbe meno incognite rispetto alla precedente?

“Possiamo prendere a esempio le posizioni sul tema migratorio. A una persona, fortemente trumpiana, è stato negato il visto al figlio per frequentare un corso negli Stati Uniti. Questo tipo di politica, in sostanza, non fa distinzioni fra buoni e cattivi. È una posizione ideologica. Trump corre per quello che dice e quello che dice in Europa è inaccettabile, perché sono temi lontani dalla nostra sensibilità media. Questo non vuole dire che non siano oggetto di un dibattito ma non c’è nessuno che sia fortemente contrario su quanto affermano. La stessa prossimità della destra per Trump mi pare sia in senso ideologico, non programmatico”.

Per fare un esempio?

“Trump ha detto che vuole abolire le imposte sul reddito, ottenendo introiti solo con i dazi sulle importazioni. Una teoria che non sta in piedi e che l’Italia, come Paese esportatore, rischierebbe di pagare duramente. Come si può dare appoggio a quest’idea e far finta non solo che non sia nel programma ma anche che non andrebbe a colpire gli elettori della stessa destra?”.

Su Trump pesano ancora i fatti di Capitol Hill, Harris ha rimpiazzato in corsa Biden: troppa confusione?

“Di sicuro è una situazione ideologizzata che prescinde dalla programmazione. In quanto esposto ci sono i problemi reali, non è tutta follia, ma vengono posti insieme ad altri qui irriferibili. Ad esempio, l’abolizione degli straordinari. Non si vede cosa viene proposto concretamente da chi. E questo si osserva anche nel campo democratico. Tuttavia, lo scostamento è in misura minore”.

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