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Ricordare il terremoto per continuare a costruire il futuro

Storie, volti e testimonianze dai luoghi del sisma, a quattro anni dalla tragedia che sconvolse il Centro Italia

Alle 3.36 del 24 agosto 2016 una scossa di terremoto tra il comune di Accumoli e Arquata del Tronto sconvolse il centro Italia, provocando 299 morti. Quattro anni dopo Interris.it rivive quel terribile sisma che colpì, tra gli altri, in maniera devastante, l’antico borgo di Amatrice, uno dei centri storici più noti e caratteristici della provincia di Rieti, con le testimonianze e i ricordi di chi ha vissuto in prima persona quella tragedia. Una tragedia di cui la loro quotidianità porta ancora i segni.

Un sacerdote tra le macerie

Don Savino D’Amelio, parroco di Amatrice al momento del terremoto, oggi Superiore Generale della Congregazione dei Discepoli di don Minozzi ha vissuto in prima persona la scossa del 24 agosto. A distanza di quattro anni ha accettato di parlare con interris.it dei terribili ricordi di quella notte e delle speranze che si vivono oggi in quella comunità alla quale è rimasto profondamente legato.

Qual è la prima immagine che le viene in mente ricordando quella notte?
“La prima immagine che mi viene in mente è sicuramente il fracasso infernale di quella notte. Io mi trovavo nell’unica casa di riposo che c’era ad Amatrice, sono stato svegliato, oltre che da questo fracasso che non avevo mai sentito, dalla polvere dovuta ai calcinacci e dalla libreria che mi stava cadendo addosso. Nonostante non avessi ancora realizzato ciò che stesse realmente accadendo, il mio primo pensiero è stato quello di mettere in sicurezza i 27 anziani che erano ospiti della casa di riposo, mettendoli dentro alle macchine o al pullmino. Grazie al cielo la struttura alla prima scossa ha resistito, buttando a terra un solo padiglione dei 14 presenti, al contrario di quello che invece ha distrutto nel resto di Amatrice. Dopo essermi accertato che tutti fossero al sicuro, sono sceso in Paese verso le cinque di mattina per continuare a portare aiuto ai cittadini, vedendo con i miei occhi le macerie provocate da quella scossa”.

Tutta l’Italia si è mobilitata ad aiutare Amatrice, qual è stato l’aiuto che lei , come sacerdote, ha portato?
“Io non mi sono mai mosso da Amatrice, sono sempre rimasto notte e giorno insieme ai miei fratelli sacerdoti ad aiutare il più possibile, per rimediare alla tragedia. Anche il vescovo, che in quel periodo si trovava a fare un pellegrinaggio a Lourdes, appena ha saputo della tragedia ha preso immediatamente un aereo ed è tornato per prestare servizio. Oltre alla nostra presenza fisica, anche logisticamente la nostra istituzione (Chiesa) ha messo a disposizione molti locali, ambienti e spazi per garantire il più possibile soccorso a tutti.”

Ora che è superiore generale della congregazione discepoli don Minozzi, che rapporto ha conservato con Amatrice?
“Non l’ho abbandonata anzi, ci torno continuamente. Sia perché appunto sono il Padre di Amatrice, sia perché sono impegnato in prima linea per la ricostruzione del Paese. A breve infatti daremo l’annuncio dell’incarico all’architetto Boeri di fare il progetto esecutivo di tutta la rete, poiché non si può ricostruire ciò che è stato distrutto ma è necessario adattare delle misure di prevenzione, soprattutto per quanto riguarda le abitazioni e di adeguamento che siano all’altezza del tempo”

A proposito di ricostruzione, che cosa è stato fatto e cosa invece c’è ancora di fare?
“Fino ad adesso tutto quello che è stato fatto è opera di privati o di associazioni. Per esempio la Ferrari ha fatto una scuola totalmente nuova e anche alcuni ristoranti, per quanto riguarda il centro di Amatrice ci sono ancora cumuli di macerie e non si ha ancora l’idea di come si vorrà ricostruire la città. Non è una cosa semplice e richiede tempo, poiché non si sa ancora come verrà concluso il progetto della ricostruzione, bisognerebbe pensare ad una Amatrice nuova. Per quanto riguarda il patrimonio abitativo hanno subito tutti danni, ci sono solo alcune frazioni che si sono riprese come i ristoranti, anche se in quantità ridotta rispetto a prima.”

Ad oggi, come vivono i cittadini di Amatrice e cosa vuol dire per loro portarsi questa cicatrice addosso?
“C’è una certa normalità, ma come dicevo prima solo per alcune frazioni. Il centro di Amatrice è stato smembrato in cinque aree abitative, se prima c’erano 500 metri di raggio ora gli abitanti stanno in 4 km di distanza uno dall’altro, insomma riescono a viverci ma con molti disagi. Prima del terremoto il centro di Amatrice durante l’anno faceva 1100 abitanti mentre adesso arriviamo ai 500. Il settore che si è ripreso subito, appena gli hanno dato la possibilità di lavorare, sono i ristoranti, anche in questi giorni per esempio è pieno di turisti. I centri commerciali invece sopravvivono a stento.”

Nel giro di pochi anni, oltre all’esperienza del terremoto, si è aggiunta quella del coronavirus, cosa si può dire/fare per questa comunità cosi colpita?
“Grazie al cielo ad Amatrice non si è rivelato neanche un caso finora, quindi è stata una brutta botta quando per il lockdown abbiamo dovuto stoppare le uniche attività che stavano andando bene, come i ristoranti o i negozi. Confidiamo però che tutto possa andare per il meglio.”

Una scuola per guarire le ferite

Una delle cicatrici più pesanti del sisma la portano dentro i giovani. Prendersi cura di loro, subito dopo la scossa del 24 agosto è toccato a Maria Rita Pitoni, all’epoca preside di Amatrice. Anche lei ha accettato di raccontare ad interris.it i ricordi di quel periodo e quanto è stato fatto finora.

Qual è stata la sua esperienza con i ragazzi nei giorni/mesi successivi?
“I primi giorni i bambini sono stati sistemati nei prefabbricati mentre i ragazzi del liceo non avevano un luogo dove andare a scuola, non c’era un edificio che potesse ospitarli e quindi li abbiamo portati nei vari villaggi scuola, come ad esempio al mare. Poi è stato allestito il palazzetto dello sport e qui hanno cominciato ad andare a scuola regolarmente fino al 30 ottobre quando c’è stato il secondo terremoto che ha colpito queste zone e che ha reso inagibile anche il palazzetto dello sport. Da quel momento in poi la scuola si è trasferita nei prefabbricati.

La principale difficoltà incontrata?
“L’aspetto più complicato da gestire è stato quello psicologico, tra l’altro i bambini e i ragazzi reagiscono in modi completamente diversi nel metabolizzare lo stress, le paure, le angosce, le mancanze. Abbiamo cominciato subito un supporto psicopedagogico con il dipartimento di scienza dell’educazione dell’Aquila che aveva già messo a punto delle tecniche quando ci fu il terremoto in Abruzzo. Naturalmente un percorso di resilienza è stato fatto anche per gli insegnanti e il personale scolastico che talvolta si sentivano inadeguati a rapportarsi con gli studenti fortemente traumatizzati che viveva tutti i giorni disagi fisici e psicologici. A tutto questo si è aggiunto un grande lavoro di ascolto anche per i genitori che avevano paura per i loro figli, anche perché purtroppo non c’è stata una sola scossa, ma più terremoti che ogni volta demolivano il lavoro fatto fino a quel punto. Accanto alla situazione precaria dal punto di vista psicologico, c’era anche un un disagio pratico: i ragazzi vivevano nelle tende, presto è arrivato l’inverno piuttosto rigido, le difficoltà delle famiglie. La rete del territorio e la solidarietà delle associazioni e degli altri territori ci ha aiutato a ricominciare”.

Com’è ad oggi la situazione scuola e come viene gestita?
“Oggi la scuola sembra essere un’isola felice perché Sergio Marchionne ha donato al comune di Amatrice l’edificio che ospita tutti i bambini e i ragazzi ed è una costruzione molto bella, che ha anche un convitto per il liceo scientifico internazionale. C’è stata una grande attenzione e investimento dei privati che ha permesso di creare un luogo all’avanguardia per gli studenti di Amatrice. Purtroppo è tutto il resto che manca, anche perché le esigenze delle famiglie sono ancora molte”.

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