“Dopo l’uscita della legge c’è stato un bellissimo riscontro. Molte persone che non potevano frequentare i locali pubblici, perché contaminati dal fumo, hanno potuto riprendere a farlo. Ancora oggi ci sono moltissime testimonianze in questo senso, in particolare da alcune categorie di persone come gli affetti da asma, da bronchite cronica. E’ stato il modo di tornare a vivere socialmente in alcuni ambienti”. E’ quanto ha dichiarato il professor Girolamo Sirchia, ex ministro della Salute, intervistato in esclusiva da Interris.it.
Venti anni fa la legge Sirchia
Il 16 gennaio di venti anni fa, infatti, entrava in vigore la cosiddetta “legge Sirchia” dal nome dell’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia, tecnico del secondo Governo Berlusconi. La legge n. 3/2003 all’articolo n. 51 disciplina la “Tutela della salute dei non fumatori”, ossia il diritto delle persone di non essere esposte al fumo passivo. Il ministro Sirchia riuscì a condurre in porto quella che per anni sembrava un’impresa epica. Il bando antifumo si proponeva di proteggere la salute dei non fumatori in tutti i luoghi chiusi. “È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di: a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico; b) quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati”. Oltre al divieto di fumo, dovevano essere affissi cartelli appositi, identificati i responsabili dell’applicazione della norma, previste multe per i fumatori che la violavano e per gli esercenti inadempienti, fissati stretti criteri per le aree fumatori, dove consentite (ventilazione, superfici, collocazione, barriere, segnalazioni).
Le occasioni mancate
“All’epoca è stato documentato un calo significativo sia delle patologie di cui parlavo prima, sia dei fumatori”, ha aggiunto il professor Sirchia. Ma questa legge era solo la prima parte della sua agenda, dovevano seguire altri provvedimenti: “Doveva essere fatta una seconda legge per ampliare le cosidette zone no smoking, come i dehor dei locali, gli stadi e i parchi pubblici che sono una vergogna perché sono pieni mozziconi di sigarette, c’è una contaminazione del suolo pericolosa e indegna, ma soprattutto si doveva operare per evitare che i giovani in particolare iniziassero a fumare, perché sappiamo bene quanto sia difficile smettere”. Ma tutto ciò non è stato fatto. “Mentre lo Stato non lavorava a favore del contrasto al fumo, le multinazionali operavano per far penetrare sempre di più i loro prodotti nella società – aggiunge l’ex ministro -. Nel tempo, inoltre, hanno preso sempre più campo le sigarette elettroniche e quelle che riscaldano il tabacco, con tanto di mistificazione della realtà. E’ stato, infatti, affermato che sono meno dannose delle sigarette tradizionali perché non vengono prodotte le sostanza tossiche in quanto non c’è combustione. Ma è stato del tutto omesso che questi prodotti, comunque, contengono nicotina e danno assuefazione. C’è stata anche un’opera di disinformazione pesante“.
La conversione delle colture di tabacco in Italia
“Il secondo passo che si sarebbe dovuto fare riguarda la conversione delle colture di tabacco in Italia”, spiega il professor Sirchia. Secondo i dati riportati sul sito del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, L’Italia è il primo produttore di tabacco greggio dell’Unione europea, con una quota del 27% e volumi complessivi intorno a 50.000 ton; anche se la tabacchicoltura è diffusa oggi in 9 regioni, dal nord al sud della penisola, il 97% del tabacco viene coltivato in sole 4 regioni; la Campania, l’Umbria, il Veneto e la Toscana. “Questo perché, tragicamente direi, c’è un accordo tra il Ministero dell’agricoltura e le multinazionali per la cessione vantaggiosa del tabacco italiano – aggiunge -. Non solo non si è ritenuto necessario dare dei segnali forti per contrastare il dilagare del tabagismo, ma esponenti politici hanno partecipato all’inaugurazione di stabilimenti produttori di sigarette”.
Rimettere al centro la salute pubblica
“Siamo in una situazione pessima, bisogna rimettere al primo posto delle agende politiche la salute pubblica. Se non si compie questo passo, il benessere delle persone soccomberà di fronte agli interessi delle multinazionali – sottolinea – Questo non vale solo per il tabacco, ma anche per gli alcolici, gli alimenti, i farmaci. Se l’Italia non si dota al più presto di un piano strategico di salute pubblica, tutto quello ottenuto fino ad ora si sgretolerà e tutti ne pagheremo il conto. Ci sono 80mila morti da fumo l’anno e 2,5 milioni di malati cronici (asma, enfisema, malattie alle coronarie). Questa è la preoccupante e molto pericolosa situazione che, a mio parere, richiederebbe urgentemente che l’Italia si doti di un piano strategico di contrasto agli interessi organizzati che collidono con la salute pubblica”.