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Suor Mossucca (Cottolengo): “Coloriamo il bianco e nero della solitudine”

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Risale al 1828 la fondazione carismatica del primo ospedaletto. Ora le missioni (o, come le chiamano le religiose che ne sono gli angeli custodi, le “presenze) spaziano nel mondo intero, dalla Svizzera all’India; dall’Italia alle più remote nazioni africane, asiatiche, americane.  Dal 1833 al servizio dei poveri e degli ultimi, la Piccola casa della Divina Provvidenza è una presenza fondamentale per l’assistenza delle disabilità più gravi in Italia e all’estero, con missioni (o meglio, appunto “presenze”) in Africa, Asia e America. “Per far fronte all’emergenza Covid sono state immediatamente messe in atto misure anti-contagio come  la costituzione di una unità di crisi interna gestita dal direttore dell’ospedale e dell’assistenza: due medici e due infermiere hanno monitorato e gestito tempestivamente i casi positivi e sospetti”, spiega a Interris.it suor Lucia Mossucca, da vent’anni suora di san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Laureata in Scienze Religiose ed in Scienze Infermieristiche. Vive alla Piccola casa della Divina Provvidenza di Torino e come Coordinatrice in diversi reparti dell’ospedale Cottolengo condivide da anni la quotidianità dei sofferenti nelle cure e nella preghiera. Esplosa l’emergenza sanitaria, suor Lucia è in prima linea al Cottolongo nell’unità di crisi Covid.

Cosa significa concretamente la pandemia in un luogo di ordinaria lotta al disagio?
“Sono passati  più di tre mese da quando a causa della diffusione del virus Covid-19 anche nella Piccola Casa, luogo di accoglienza per eccellenza, sono iniziate le restrizioni e le chiusure. Le soluzioni attuate per ridurre  il contagio sono state quelle suggerite dal ministero della Salute: ridurre le visite dei parenti, isolare i casi sospetti, utilizzare i presidi di protezione, lavarsi le mani”.

Come si condivide un’emergenza sanitaria con i più fragili?
“Non è stato facile far comprendere alle persone con disabilità psichica che spesso si esprimono con il tatto, la carezza e gli abbracci che bisognava tenere un metro di distanza e non toccarsi. Impresa ardua è stato anche comunicare con le persone anziane o audiolese che sono abituate a seguire il labiale e che a causa della mascherina che copriva il volto intendevano ancora meno”.

Quali sono state nella fase acuta della pandemia le difficoltà maggiori?
“Le persone speciali che abitano al Cottolengo sono abituate a vivere, godere e gioire di piccoli gesti di attenzione, di tenerezza e di compagnia. Spesso i pellegrini che si accingono a visitare l’opera fondata da san Giuseppe Cottolengo si fermano ad osservare la “disabilità” e il disagio degli ospiti e non si accorgono della gioia  e della serenità che abitano queste persone “speciali”. Per molti di loro il problema non è stato non poter uscire perché a causa dei deficit fisici sono abituati a farlo raramente … la vera sofferenza è stata ricevere meno visite, non vedere i volontari, gli amici, i parenti per chi li ha”.

In che modo ci si fa carico dell’emergenza straordinaria quando ogni giorno si vive quella ordinaria in mezzo alle persone con le disabilità più gravi?
“Una caratteristica della vita alla Piccola Casa per le persone con disabilità non è tanto uscire, ma è avere la ricchezza del mondo esterno che entra dentro attraverso la presenza di tutti coloro che si prendono cura a vario titolo degli ospiti. Bloccare questo flusso ha voluto dire per noi religiosi e operatori laici re-inventare un modo di stare insieme, di pregare e di toccarci affinando la capacità di abbracciare con gli occhi prima ancora che con le braccia”.

Cosa è cambiato nell’organizzazione delle vostre strutture assistenziali?
“Se dal punto di vista sanitario-assistenziale l’emergenza è stata gestita riorganizzando i servizi generali (lavanderie, distribuzione di materiale, raccolta rifiuti), motivando e sostenendo  il personale in servizio … la solitudine delle persone isolate è stato il virus più resistente da debellare”.

E dal punto di vista religioso?
“Per far fronte alla tristezza causata dall’isolamento, ogni membro della famiglia carismatica cottolenghina ha provato ad animare la vita nella Piccola Casa pur rispettando le norme dettate dall’emergenza: Messe in filodiffusione, rosari meditazioni, videochiamate con parenti e amici. Nell’attesa che la “movida di volontari e parenti” che caratterizza la Piccola Casa riprenda,  continuiamo a colorare le nostre giornate con gesti di tenerezza e affetto capaci di rompere il bianco e nero della solitudine”.

Giacomo Galeazzi: